Dalla Jeep del trionfo a l'Havana alla Oldsmobile personale, fino alle "vecchie" auto americane riparate con mezzi di fortuna. Quello del Lider Maximo con le quattro ruote è stato un rapporto singolare, segnato profondamente dall'embargo posto a Cuba su quelle straniere e dalla vicinanza col blocco ex-sovietico
La storia automobilistica di Fidel Castro ci piace farla partire dall’8 gennaio del 1959. Quando quel trentatreenne alto e barbuto che aveva appena liberato Cuba dalla dittatura entrava da trionfatore a l’Havana, in piedi su una Jeep.
Certo, di strada ne aveva già fatta tanta. Su asfalto (poco), sterrato (molto) e nella vita: matrimonio, divorzio, figli, carcere, rivoluzione. Ma per certi versi aveva appena cominciato. Il Lider Maximo scelse una Oldsmobile Rocket 98 sempre del ’59, che uso’ come mezzo di servizio: l’auto blu della victoria potremmo definirla, se non altro perché fu scelta tra un contingente di vetture americane sequestrate durante i giorni della rivoluzione, e in seguito poi abbandonata per delle Mercedes.
Ecco, le auto americane. Su tutte Cadillac Eldorado, Chevrolet Bel Air (ne aveva una con tetto bianco anche Che Guevara) o Lincoln Continental. Proprio quelle che hanno reso Cuba una sorta di museo a cielo aperto almeno fino all’ottobre del 2011, quando il fratello di un già molto malato Fidel, Raul Castro, annunciò una serie di misure di ammodernamento dell’economia reale cubana: dalla soppressione del quasi mitologico Ministero dello Zucchero fino alla revoca dell’embargo sulla compravendita di auto straniere immatricolate dopo il 1959, l’anno della grande Revoluciòn che doveva rimanere una pietra angolare.
Proprio l’embargo ha di fatto impedito a Cuba di avere un parco auto moderno per oltre cinquant’anni. E ha trasformato le macchine dei ricchi americani che andavano a svernare sull’isola ai tempi del dittatore Fulgencio Batista, abbandonate in fretta e furia, in una sorta di patchwork: venivano riparate con componentistica di fortuna costruita in loco o adattata da altri veicoli, perché di pezzi di ricambio originali non se ne parlava neanche.
Per “altri veicoli”, leggasi quelli provenienti dai paesi del blocco ex-sovietico. Già, perché le auto di servizio, i taxi e i mezzi per il trasporto pubblico comunque servivano. Quale migliore soluzione per Fidel Castro, allora, di rivolgersi ai compagni russi? A questo si devono le Lada e Volga, ma anche le cecoslovacche Skoda, in giro per l’isola negli anni ’70-’80. E pure, curiosa anomalia, una cinquantina di Alfa Romeo importate nel 1970. L’embargo fissato per le auto “straniere”, evidentemente valeva soprattutto per quelle “americane”.
Quella recente, invece, è storia di normalizzazione. Meno gelo, meno barriere. Con la presidenza Obama molto è cambiato, seppur tra luci e ombre, e la speranza è che si continui su questa strada. Tuttavia bisogna ricordare che ancora oggi per i cittadini cubani è quasi impossibile economicamente comprare una macchina, anche se gli è permesso dalla legge. Un giorno forse succederà, per ora meglio attaccarsi al motto che per primi avrebbe dovuto dare speranza proprio a loro, tanti anni fa. Hasta la victoria, siempre.