La Raggi e la Appendino hanno avvisato: a Palazzo Madama loro non ci andranno. Beppe Sala sì, ma non più di una volta a settimana. De Magistris? Non pervenuto. I sindaci delle grandi città metropolitane d’Italia hanno detto la loro sulla eventuale elezione a senatori qualora dovesse vincere il Sì al referendum costituzionale del 4 dicembre, con la costituzione riformata che prevede l’elezione di 21 primi cittadini nella nuova composizione dell’emiciclo di Palazzo Madama. La realtà, però, è ben diversa. Perché al netto della loro voglia di andare a Roma una o più volte a settimana e delle responsabilità istituzionali che comporta l’indossare la fascia tricolore, la nuova legge per come è scritta non dà nessuna certezza che i sindaci delle grandi città possano accomodarsi sugli scranni del nuovo Senato. Il motivo è semplice. Ad eleggere i prossimi senatori, infatti, saranno i consigli regionali. Nel Lazio e in Piemonte il Movimento 5 Stelle di Raggi e Appendino è in minoranza, come peraltro il Pd di Sala in Lombardia, con De Magistris che addirittura non ha neanche un rappresentante in Regione Campania. Il paradosso, quindi, è che a meno di improbabili alleanze politiche o di inciuci a livello locale, le metropoli al momento non saranno rappresentate nel nuovo Senato per come è stato pensato dalla riforma. L’edizione odierna del Corriere della Sera, poi, sottolinea l’esempio della Regione Campania: con il sindaco del capoluogo tagliato fuori da ogni discorso, non sarebbe impossibile immaginare un deluchiano di ferro un fedelissimo renziano come sindaco-senatore eletto dal consiglio regionale. Due i nomi ipotizzati: Enzo Napoli (il successore di De Luca a Salerno) o il primo cittadino di Ercolano Ciro Bonajuto, vicinissimo a Maria Elena Boschi nonché colui che ha ‘condotto’ l’edizione 2015 della Leopolda.

A sentire il quotidiano di via Solferino, un rimedio in calcio d’angolo a questa situazione kafkiana potrebbe arrivare, sempre in caso di vittoria del Sì, dalla futura legge elettorale per il Senato, a cui rimanda la carta costituzionale riformata. Se così fosse, tuttavia, sarebbe impossibile una sua applicazione prima delle prossime elezioni regionali, che in Campania ad esempio ci saranno – salvo colpi di scena – nel 2020. Fino ad allora varranno le disposizioni transitorie e, quindi, pur in presenza di un nuovo sistema di voto che corregge l’anomalia, De Magistris rimarrebbe fuori dai giochi, a differenza di alcuni suoi colleghi più fortunati che possono contare su sponde solide in Regione.

Non solo. C’è anche chi, come Renata Polverini, mette sul tavolo altre controindicazioni del nuovo, ipotetico Senato riformato. Questioni di metodo e di merito: “Il recente caso di cronaca sulle dimissioni dei sindaci di Terni e Foligno dal doppio incarico di presidenti di Provincia – dice l’ex governatrice del Lazio – ci insegna come potrà essere rischiosa la nuova composizione del Senato. I nuovi senatori ossia i Consiglieri regionali e i sindaci potranno dedicare all’attività parlamentare solo un giorno a settimana – aggiunge – e tra le altre cose dovranno assorbire competenze su materie complicate come quelle legate all’Unione europea. Siamo sicuri che avranno la capacità e soprattutto il tempo di compilare e studiare dossier su argomenti trattati a livello sovranazionale?”. La deputata di Forza Italia, poi, sottolinea un’altra anomalia: la durata della carica, connessa alla legislatura regionale e comunale. “Se dovesse cadere la giunta prima del termine fissato da legge i componenti della nuova Camera rischierebbero di lasciare incompleti parte dei loro lavori – fa notare la Polverini – Si rallenterebbe di conseguenza tutto l’iter istituzionale, per non parlare poi della menzogna sull’abbassamento del costo della politica”.

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