Per molti melomani l’incontro con i dischi di Julius Katchen è stata una rivelazione, specie con quelli che rimangono di riferimento assoluto, ovvero i molti che testimoniano l’intensa riflessione dedicata all’opera di Brahms. Ma per chi ha voluto scandagliare, con curiosità giustificata, il lavoro di questo magnifico pianista c’è stata la ricompensa di molti altri tesori nascosti. La Decca, negli ultimi anni in vena di ristampe esaustive quanto piuttosto elefantiache, ha tirato fuori dai cassetti l’integrale delle registrazioni del pianista americano, per un box di complessivi 36 cd.
Katchen, per nostra fortuna, iniziò a registrare molto presto e avendo scelto Parigi come sua residenza ebbe contatti precoci con l’industria discografica europea: la Decca lo mise subito sotto contratto e i dischi testimoniano fedelmente il suo vasto ma ben delimitato repertorio e ci fa rimpiangere cosa forse avrebbe toccato se gli fosse stato concesso più tempo. Il maestro infatti si confrontò soprattutto con l’Ottocento e il suo baricentro fu l’amatissimo Johannes Brahms di cui si sforzò di incidere non solo l’opera omnia per pianoforte ma anche (senza purtroppo riuscirci) tutte quelle opere strumentali che richiedessero la presenza del pianoforte. Abbiamo quindi una nutrita serie di opere da camera di indiscutibile pregio incise con partner grandissimi, primi tra tutti i Trii, con Josef Suk al violino e il grande Janos Starker al violoncello ma anche le splendide sonate tarde per clarinetto e pianoforte con Thea King.
Ma oltre l’adorato Brahms molto altro c’è da scoprire in questo prezioso cofanetto. L’integrale dei concerti per pianoforte e orchestra con Piero Gamba, davvero peculiare anche se non tra le edizioni di assoluto riferimento. Assai interessanti sono pure le incisioni del Terzo concerto di Prokofiev e del Terzo di Bártok, con Ansermet e Kertész. Lo squarcio su un futuro negatoci sono le due incisioni delle Variazioni Diabelli, che ci prefigurano un importante pianista beethoveniano purtroppo mai sbocciato, così come la Fantasia di Schumann ci fa capire quale approccio interessante al primo romanticismo tedesco sarebbe stato il suo.
Su Brahms, che rimane il suo capolavoro interpretativo, la lettura è stata profondissima, pochi sono i casi in cui si percepisce la perfetta aderenza di un pianista con l’universo di un compositore, le sonorità sono ideali, brunite, bronzee ma senza essere stentoree; l’universo brumoso del compositore di Amburgo è tratteggiato da Katchen in maniera superba. Le rese più fedeli restano le Variazioni su un tema di Handel e quelle su un tema di Paganini, qui il pianista può effondersi in una magniloquenza mai vuotamente retorica, può compiere miracoli di fraseggio e di spericolatezza tecnica senza mai scadere nel mero gesto, i parametri musicali sono perfettamente rispettati e lo scavo può dirsi davvero insuperabile. Molto ci ha dato Katchen ma molto rimpiangiamo di non aver avuto da lui.