Il tesoro rubato al museo di Castelvecchio di Verona e ritrovato in Ucraina non è stato ancora restituito all'Italia. Dopo gli arresti del 15 marzo in Moldavia e in Italia degli autori del furto "si apre come un buco nero”, racconta una fonte vicina all’indagine. La procura scaligera aveva chiesto il rispetto della rogatoria inoltrata il 17 maggio scorso per il rientro in Italia delle opere rubate, rimasta tuttora inevasa da parte della procura di Kiev
“È una questione diplomatica”. Il sostituto procuratore di Verona Gennaro Ottaviano, che ha coordinato le indagini sul “colpo del secolo” al museo di Castelvecchio, ha dovuto fermarsi lo scorso ottobre di fronte alla risposta di Eurojust. Con una doglianza inviata al coordinamento della giustizia europea, il pm veronese aveva chiesto il rispetto della rogatoria inoltrata il 17 maggio scorso per il rientro in Italia delle opere rubate, rimasta tuttora inevasa da parte della Procura ucraina. Perché mentre i responsabili del furto al museo veronese in pochi mesi sono stati arrestati, e i 17 quadri ritrovati, l’inestimabile refurtiva ancora non è stata restituita all’Italia e la data del rientro, prevista inizialmente per la fine di maggio scorso, è continuata a slittare per le ragioni più disparate.
Che vi fosse qualcosa di strano nel comportamento delle autorità ucraine era emerso fin da subito nel corso dell’inchiesta. Mentre nell’aprile scorso intercettazioni e interrogatori indicano Odessa come luogo in cui erano finite le opere d’arte, la collaborazione con la polizia ucraina si fa sempre più difficoltosa. Dopo gli arresti del 15 marzo in Moldavia e in Italia, gli investigatori italiani (il Nucleo tutela patrimonio culturale dei Carabinieri, il Servizio centrale operativo della Polizia e la squadra mobile di Verona) scoprono nuovi dettagli e passano riferimenti e numeri di telefono di due membri dell’organizzazione ai colleghi della polizia ucraina.
Ma qualcosa non funziona: “Si apre come un buco nero”, racconta una fonte vicina all’indagine. Il pm Ottaviano, intanto, fa convocare all’Aia il procuratore generale di Kiev per chiedere “maggiore collaborazione”. Il magistrato e gli investigatori italiani si recano diverse volte in Ucraina in quelle settimane, ma non vengono informati del rinvenimento dei quadri. Finché l’11 maggio il presidente Petro Poroshenko annuncia in pompa magna il ritrovamento delle opere rubate al museo di Castelvecchio, semisepolte sulle sponde di un fiume nella regione di Odessa. La scoperta sarebbe avvenuta la settimana precedente, il 6 maggio: perché allora le autorità ucraine non hanno avvisato il pm e la polizia italiana, che in quel momento si trovavano sul posto?
Le segnalazioni del pm Ottaviano intanto vengono fatte proprie dal procuratore generale di Venezia, Antonino Condorelli, che scrive al ministero della Giustizia. Ma il governo italiano, dichiarazioni a parte, non interviene. Due membri dell’organizzazione nel frattempo risultano ancora latitanti. Uno di loro è considerato la “mente” del gruppo, criminale esperto in grado di muoversi su scala internazionale. E di organizzare un colpo apparentemente inspiegabile, come quello al museo di Verona: 17 opere dal valore inestimabile e considerate quasi senza mercato, e 300 euro dal portafogli della custode di Castelvecchio.