Cercando di tenere da parte almeno per un momento le intenzioni di voto per il prossimo 4 dicembre, si rende necessario un ragionamento comune a tutti noi elettori, e quindi a tutti noi cittadini italiani, sul voto ormai imminente. È un’operazione che risulta affatto semplice e scontata, a causa della polarizzazione – per usare un eufemismo – che in ogni caso caratterizzerà il voto, come ha caratterizzato e sta ancora caratterizzando la campagna, e che ormai insieme abbiamo inevitabilmente causato, ma soprattutto tristemente accettato.
Lo scontro dei due fronti, al di là di ogni considerazione, dovuta anche se ormai inflazionata e quindi poco utile se qui ribadita, sull’asprezza (ancora un eufemismo), è stato condito da interventi più o meno autorevoli e più o meno convincenti di esponenti esteri politici, istituzionali, ma soprattutto finanziari. Mi riferisco, come certamente si sarà intuito, alle esternazioni di istituti bancari e finanziari, ma non solo, che vorrebbero in qualche modo indicare la strada maestra per l’espressione del voto. La strada più conveniente (ma per chi?). È una prassi, questa, di cui l’Italia potrebbe, vorrebbe e dovrebbe fare volentieri a meno.
È una questione che ci si deve porre tanto se favorevoli alla riforma quanto se contrari, perché a partire da questa settimana, queste esternazioni, che inizialmente sembravano minacciare scenari apocalittici con l’Italia protagonista in caso di vittoria del No, hanno assunto un carattere bi-partisan. Qualche giorno fa, infatti, è stata la volta del The Economist, che da una parte ha screditato l’equazione “riforma respinta-caos” e dall’altra ha spostato l’attenzione sulle vere riforme strutturali di cui l’Italia avrebbe (ed in effetti ha) bisogno.
Quello di seguire l’esempio o le indicazioni estere è un modo di fare campagna elettorale che personalmente non condivido, ma in questo caso la cosa è più grave: si tratta di personaggi, quelli che ammoniscono sull’importanza del voto cercando di orientare la scelta degli italiani a proprio piacimento, che hanno una enorme capacità di influenza della pubblica opinione. Ambasciatori, istituzioni bancarie, agenzie di rating, media e così via. L’oggetto del referendum in questo modo viene completamente travisato: dal testo della riforma alle sue conseguenze politiche e finanziarie. Sulle prime una riforma costituzionale deve necessariamente prevalere, poiché la Carta fondamentale è destinata a durare, i governi non necessariamente: come è successo con Berlusconi, Monti, Letta e come succederà eventualmente con Renzi, morto un governo (ed è tutto da vedere) se ne fa un altro.
Sulle conseguenze finanziarie, invece, certamente ci sarà da aspettarsi “turbolenze sui mercati”, ma queste non saranno dovute all’esito eventualmente negativo (che peraltro non è così scontato) del referendum, bensì saranno dovute a come il resto dell’Europa, politica e finanziaria, si sia predisposta di fronte a questa eventualità, creando, attraverso i citati tentativi di spostare il voto, clima di terrore che impedisce una sana e serena scelta di merito. Ma, e qui questa volta The Economist correttamente suggerisce, questo clima è stato creato da Renzi stesso, legando il suo governo “al test sbagliato”.
Come detto, questo è un fenomeno che proviene tanto dalle fila del No quanto dagli schieramenti per il Sì; anzi, quando le prime notizie dall’estero erano a favore della riforma abbiamo assistito ad una ondata di indignazione, ma così non è stato quando Credit Suisse e The Economist hanno preso posizione sostenendo la sostanziale indifferenza rispetto ad una eventuale caduta dell’attuale governo in seguito alla (ancora più eventuale) bocciatura della riforma.
Il clima sul referendum è tale per cui in ogni caso, all’esito del referendum, avremo il Paese spaccato a metà per colpa di una campagna da stadio, tra tifosi, tra vecchio e nuovo, tra casta e anti-kasta, senza peraltro aver capito quale schieramento corrisponda ad ognuna di queste posizioni. Abbiamo veramente bisogno che questa tensione sia alimentata anche dall’estero? Come se non fossimo abbastanza bravi a dividerci da soli.
Sarebbe cosa gradita che un qualsiasi esponente del Sì rispedisse al mittente ogni indicazione di voto. È utopia che il Presidente in carica, che dovrebbe essere il Presidente di tutta Italia e non solo di una parte, facesse un simile gesto di fronte a esternazioni tutte a suo vantaggio per salvaguardare l’unità interna. Ancora più utopico che a farlo sia l’attuale Governo. Ma sarebbe cosa ancora più gradita che, tutti coloro che si siano indignati di fronte alle intromissioni nel voto dall’estero facessero lo stesso ora che alcuni giornali e alcuni istituti bancari allo stesso modo si intromettono a favore del No.