La decisione era attesissima, ma per alcuni scontata. E, come gli esperti di diritto sostenevano, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Codacons dall’avvocato Giuseppe Ursini, in proprio, contro gli atti di indizione del Referendum. La Corte ha ritenuto che i ricorrenti non avessero i requisiti per esercitare l’azione, non essendo “poteri dello Stato” come richiede l’articolo 134 della Costituzione.
A cinque giorni dal voto c’era ancora questo ricorso pendente sul referendum costituzionale. Per cui la Consulta era stata costretta a riunirsi d’urgenza. La questione sollevata era sempre la stessa: il quesito referendario, secondo i legali dell’associazione dei consumatori, non permette un voto dell’elettore davvero libero. Una tesi già avanzata dal Codacons, dal M5s e da Sinistra Italiana davanti al Tar del Lazio e alla Corte di Cassazione, ma anche dall’ex presidente della stessa Corte, Valerio Onida, al tribunale civile di Milano. In tutti i casi il ricorso è stato respinto. In particolare in Cassazione l’istanza del Codacons era stata dichiarata inammissibile per mancanza di requisiti della stessa associazione. Secondo i giudici della Suprema Corte, insomma, il Codacons non può essere parte in procedimento di questo tipo perché a suo tempo non è stato tra i soggetti che hanno presentato richiesta di referendum.
Ora, partendo da qui, il Codacons chiede va di sollevare un conflitto d’attribuzione di fronte alla Consulta tra l’Ufficio centrale per il referendum in Cassazione e i cittadini elettori rappresentati dal Codacons. Il primo passo dei giudici della Consulta era proprio verificare in via urgente se il conflitto fosse ammissibile. Nel frattempo è arrivata in mattinata la decisione delle sezioni Unite della Cassazione che ha respinto come inammissibile il ricorso dell’associazione dei consumatori contro il quesito referendario e l’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum. Tale ordinanza – si legge nella sentenza – non ha natura di atto giurisdizionale e quindi non può essere impugnata per via giurisdizionale, “men che mai dinanzi alla corte di Cassazione” di cui l’Ufficio per il referendum “costituisce un’articolazione interna”.
Il ricorso del Codacons chiedeva, infatti, di annullare per eccesso di giurisdizione le due ordinanze con cui l’Ufficio centrale per il referendum ha dato il via libera al quesito referendario. In sostanza, secondo l’associazione dei consumatori l’Ufficio centrale, nel dichiarare la conformità del quesito, avrebbe superato i limiti interni della propria giurisdizione invadendo la sfera del governo. Ma nella sentenza redatta dal giudice Angelina Maria Perrino, depositata oggi, le Sezioni unite hanno stabilito da una parte che l’Ufficio centrale per il referendum ha natura giurisdizionale, essendo formato da giudici e incardinato presso la Cassazione, e che esso “svolge la propria attività in condizioni di neutralità“. Dall’altra, però, le sue decisioni “hanno natura soltanto formale di atti giurisdizionali”.
Il realtà, infatti, il suo compito non è quello di “accertare l’avvenuta violazione di doveri e obblighi” né di “comporre un contrasto” tra parti contrapposte; e neppure quello di “dare certezza definitiva a una situazione giuridica autonoma che la richieda” o di “gestire specifici e distinti interessi”. In particolare l’ordinanza che ammette il referendum “è immediatamente funzionale al decreto del Presidente della Repubblica” di indizione del referendum e si qualifica come “definitiva”. Per questo la stessa Corte Costituzionale, ricorda la sentenza, ritiene che nei confronti dell’Ufficio centrale sia ammissibile solo il conflitto d’attribuzione di fronte alla Consulta.