Coraggio, è iniziata l’ultima settimana: il peggio della campagna referendaria più lunga, squallida e surreale che si potesse immaginare si sta condensando in queste ore.

Al No, già indistinta e becera “accozzaglia”, sono stati attribuiti dal Financial Times i panni del lugubre cavaliere dell’Apocalisse che rischia di travolgere il nostro giovane, brillante e “machiavellico” premier, secondo la definizione enfatica della Cbs che gli ha dedicato un promo molto pittoresco, più adatto alla saga sui Medici.

Chissà, forse per esaurimento delle bugie di riserva, Renzi che, sull’onda di Trump, si è immedesimato nell’eroe riformatore “solo contro tutti”, ma a differenza del modello con tutta l’informazione “giusta” al seguito in assetto di guerra per convincere gli indecisi, ha voluto rilanciare alla vigilia del voto la colossale “psicofesseria” del salto nel buio”.

Una indimostrabile quanto indefinita “minaccia” rivolta agli elettori, richiamati in modo sempre più assillante dai supporter della riforma in quanto tale a valutare “il contesto” insieme al testo e cioè a fregarsene del merito in nome di interessi contingenti e decisamente più concreti, non ultimi quelli del portafoglio per gli investitori che potrebbero essere danneggiati da ipotetici effetti nefasti della vittoria del No sul sistema bancario. Ma rimanendo sul piano più politico e internazionale, per dirla con le parole di uno sconfitto, profeta di sventura per se stesso nella sfida all’Appendino e dunque emblematico come Piero Fassino, “contestualizzare” il voto significherebbe tenere ben presente che l’affermazione del No sarebbe una vittoria dei  “populisti” e un passo decisivo verso la disgregazione dell’Unione europea.

Non importa che la trovata un po’ banale e poco fantasiosa del “salto del buio”, si fosse già sgonfiata al tempo dell’imbarazzante passerella al cospetto di Obama, quando il presidente uscente insieme a un endorsement più o meno convinto gli aveva rivolto un invito molto fermo “resti comunque vada” che non dava per niente scontata la vittoria del Sì e liberava il campo dagli oscuri scenari con cui si tenta fino all’ultimo di inquinare il voto.

Ora a imperversare con una intensità destinata a crescere nelle ultimissime ore sono le dichiarazioni roboanti quanto ondivaghe e contraddittorie di Renzi che oscillano tra lo scenario apocalittico di un paese nell’abisso o in alternativa assoggettato al giogo di un nuovo esecutivo “tecnico”, e cioè non designato attraverso il voto dei cittadini esattamente come il suo ma sicuramente meno incline a comperare il consenso con manovre finanziare spudoratamente elettorali.

Difficile stabilire se il copione segua il crescendo tracciato dal guru americano Jim Messina, che costa al PD 400.000 euro per i consigli più strategici inclusa la scomparsa o la magica riapparizione da Palazzo Chigi della bandiera europea, oppure derivi dal manuale del perfetto comunicatore introiettato dal suo primo ispiratore: ad ogni modo nel duello a distanza nel salotto di Barbara D’Urso, che ha flirtato molto più con lui che con B ha superato il maestro di Arcore schierato un po’ troppo platealmente per il NI.

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