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Veneto come l’Alto Adige, voto sul bilinguismo. Cinque stelle dal sì in Commissione al no in aula

Arriva in consiglio regionale il disegno di legge voluto da Lega e centrodestra. Prevede fra l'altro la doppia toponomastica, corsi obbligatori di dialetto nelle scuole, programmi Rai ad hoc. I grillini avevano dato l'ok, ma ora il capogruppo Berti spiega: "Solo sulla compatibilità finanziaria, non nel merito"

La prendono da lontano, dal tredicesimo secolo avanti Cristo, quando il “popolo veneto” era già “una comunità umana storica ed etnica insistente nel territorio dell’alto Adriatico”. Allargano i confini originari dalla Venetia del Baltico, alla Paflagonia in Asia Minore, dalla penisola Balcanica all’attuale Carinzia, dai Veneti Atlantici della Bretagna ai Venetulani di quelle che oggi sono il Lazio e la Campania. Per finire a Venetico in Sicilia. In poche parole, uno spericolato excursus storico per dimostrare che i veneti sono un popolo, parlano una lingua che li contraddistingue e quindi vanno tutelati, anche sul piano internazionale, come una minoranza nazionale.

Il Veneto come il Sud Tirolo, da sempre bilinguista, con indicazioni anche toponomastiche accostate a quelle in italiano? E’ questa la nuova frontiera che la maggioranza a trazione leghista in Regione Veneto (nella foto, il presidente Luca Zaia) ha deciso di aprire. E’ in dirittura d’arrivo, tra prevedibili polemiche, il disegno di legge regionale che quattro Comuni veneti (Resana, Grantorto, Santa Lucia di Piave e Segusino) hanno presentato all’inizio dell’anno. L’obiettivo? Veder riconosciuta ai veneti questa identità, con l’applicazione di una Convenzione europea per la tutela delle minoranze. Con alcune ricadute pratiche: il rilascio da parte dell’Istituto della lingua veneta di un “patentino del bilinguismo”, corsi obbligatori di veneto nelle scuole, posti riservati ai veneti nella pubblica amministrazione, doppia toponomastica (come in Alto Adige con la lingua tedesca), perfino programmi specifici della Rai. Insomma, nelle città venete si troverebbero piazza Bepi Garibaldi, Toni Rosmini, Catina da Siena o Lele Manin.

Una decina di giorni fa la prima commissione ha approvato a maggioranza l’avvio in aula del disegno di legge regionale (il voto è previsto per il 29 novembre), con la maggioranza di Lega e centrodestra schierata. Anche il Movimento 5 Stelle ha votato a favore, ma adesso ci ripensa: “Quel voto riguardava soltanto la compatibilità finanziaria, non il merito – spiega il capogruppo Jacopo Berti – la nostra posizione non è a favore, ma spiegheremo le nostre contrarietà in consiglio regionale”. Contrario il centrosinistra. E qualche dissenso annunciato anche in Forza Italia, che potrebbe spaccare la maggioranza.

I sostenitori si rifanno alle norme europee. E accusano: “All’epoca della preparazione della legge sulle lingue minoritarie la lingua veneta era stata giustamente e ovviamente censita fra quelle per le quali era dovuto il riconoscimento, ma nel 1997 le spinte secessioniste crearono nel Parlamento italiano la paura che il riconoscimento della lingua avrebbe rinfocolato la spinta secessionista, per cui essa venne stralciata dalla lista”. Erano gli anni dei Serenissimi e delle inchieste per attentato all’integrità nazionale. Ma qui si va oltre, non ci si limita alla lingua, ma all’intero “popolo veneto” (anche gli emigranti in giro per il mondo, con le comunità del Sud America, degli Usa e dell’Australia). Un precedente viene individuato nella legge costituzionale del 1971 istitutiva della Regione Veneto (“Il Veneto è costituito dal popolo veneto”) e nel nuovo statuto regionale del 2012 (“L’autogoverno del popolo veneto si attua in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia”). A Palazzo Ferro Fini si annuncia battaglia, perché la Lega non è intenzionata a rinunciare a una legge regionale considerata una specie di fiore all’occhiello.