Il governo ha saldato il dovuto: 80 milioni per il solo 2015. Ma ora (mentre Bruxelles ripassa all'incasso di altre due rate) vuole indietro i soldi dagli enti locali. Prime nella lista la regione guidata da De Luca e la Calabria. Stefano Bonaccini, presidente dell'Emilia Romagna e capo della Conferenza delle regioni, ha sollevato il conflitto di attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale. Emendamento alla Legge di Bilancio per disinnescare la rivalsa del Mef
Il conto è da capogiro: solo per il 2015 quasi 80 milioni di euro. È quanto ha pagato il ministero dell’Economia per la multa comminata dalla Commissione europea che nel 2014 ha condannato l’Italia per 200 discariche non a norma. E ora Pier Carlo Padoan quei soldi li vuole indietro dalle Regioni. Al più presto. Anche perché da Bruxelles sono già arrivate le ingiunzioni di pagamento per altre due rate: ulteriori 61 milioni a titolo di penalità per gli impianti che, nel frattempo, non sono stati ancora bonificati o messi a norma. Una partita che riguarda principalmente quattro regioni: Campania, Calabria, Abruzzo e Lazio. Che non hanno, come tutte le altre, alcuna intenzione di pagare.
“Fate votare Sì”, ha detto pochi giorni fa il governatore campano Vincenzo De Luca incitando i suoi a mobilitarsi per il referendum. E ricordando l’interlocuzione privilegiata con il presidente del Consiglio. In questa partita però i soldi è Renzi a volerli indietro dalla Campania. Innanzitutto dalla sua giunta, in solido con i Comuni su cui insistono le discariche condannate dall’Europa: dalla ‘A’ di Airola in provincia di Benevento alla ‘V’ di Villamaina in provincia di Avellino. In totale 18.622.522 euro: un conticino record seguito da quello della Calabria che dovrà restituire quasi 16,3 milioni. L’Abruzzo dovrà rendere 10,2 milioni, il Lazio 8,1, per citare gli importi più elevati.
Ma sono solo i casi più clamorosi. Perché ad essere interessate sono tutte le regioni (anche Valle d’Aosta e le province autonome di Trento e Bolzano). Che minacciano le barricate. E i comuni? I loro bilanci, se fossero davvero chiamati a rispondere in solido con le regioni, rischiano addirittura di andare a gambe per aria. Per questo l’Anci, a maggio di quest’anno, aveva tentato ogni strada per respingere al mittente le richieste della Ragioneria dello Stato: l’associazione dei comuni italiani era riuscita a spuntare un congelamento di 90 giorni del dossier. Ma trascorsa la tregua, durata ben oltre i tre mesi concordati, una settimana fa il ministero dell’Economia è tornato alla carica gettando gli enti locali nel panico. Un’accelerazione che rischia di compromettere l’ultimo miglio di una campagna referendaria al fulmicotone. Proprio nel momento in cui il premier Matteo Renzi ha bisogno dell’impegno di tutti i suoi governatori per centrare l’obiettivo a cui è legata la sua sopravvivenza politica. E questo, alle regioni è ben chiaro.
Durante l’ultimo incontro a Roma hanno redatto un documento che più o meno suona così: se Padoan e il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti non saranno disponibili a sedersi attorno al tavolo per concordare una moratoria su questo debito multimilionario, si spalancheranno le porte di un contenzioso senza fine. “Per evitare tutto questo abbiamo predisposto un emendamento alla manovra che disapplica le rivalse del Mef nei nostri confronti”, dice a ilfattoquotidiano.it l’assessore al bilancio della regione Campania Lidia D’Alessio, alle prese con il conto più salato. Ma la proposta di modifica non è stata approvata dalla commissione Bilancio della Camera. I governatori sperano che passi quando la legge di Bilancio sarà all’esame del Senato.
Pesce d’aprile del Tesoro per Bonaccini – La strada del contenzioso, peraltro, è stata già tracciata e ai livelli più alti. E non da un governatore a caso. Stefano Bonaccini, presidente della regione Emilia Romagna e capo della Conferenza delle regioni, si è rivolto direttamente alla Corte Costituzionale. Dove ha sollevato il conflitto di attribuzione tra Stato e regione dopo aver ricevuto tre missive: una diffida alla bonifica da Palazzo Chigi, pena l’esercizio del potere sostitutivo, un richiamo dal ministero dell’Ambiente nella quale si ribadiscono le responsabilità della regione e infine la goccia che ha fatto traboccare il vaso: una nota del Mef arrivata sul tavolo del governatore il 1 aprile di quest’anno.
Non era uno scherzo, ma un “invito” rivolto a tutte le regioni, compresa l’Emilia-Romagna quale responsabile in solido con il Comune di San Giovanni in Persiceto (sede di una discarica di rifiuti pericolosi entrata nel mirino della Ue e oggi stralciata dalla procedura di infrazione), a volere concordare le modalità attraverso cui procedere al reintegro degli importi anticipati dallo Stato. Il Ragioniere dello Stato Daniele Franco ha chiesto indietro alla sua giunta poco più di 770mila euro. Che Bonaccini non ha alcuna intenzione di pagare. Come si evince dai tre ricorsi che ha presentato alla Consulta in cui il filo conduttore è unico: non si può scaricare sulle regioni le responsabilità che competono esclusivamente allo Stato. I cui comportamenti in questa vicenda, a detta del governatore, non sono stati improntati al principio della leale collaborazione.
I dubbi sulla gestione della difesa di fronte alla Corte di giustizia europea – Ma c’è di più perché Bonaccini, e non solo, pensa che il ministero dell’Ambiente, che pure si sta prodigando in ogni modo, non abbia ben operato rispetto alla difesa di fronte alla Corte di Giustizia europea che nel 2014 ha condannato l’Italia per le 200 discariche. Argomento questo su cui batte anche la coordinatrice degli assessori all’ambiente della Conferenza delle regioni, Donatella Emma Ignazia Spano. Che per chiarire il punto fa l’esempio della sua regione, la Sardegna. “Siamo stati sanzionati per un sito dove c’era stato un semplice smaltimento abusivo di rifiuti: avevamo delineato per tempo tutta la vicenda con il ministero affinché chiarisse in sede europea. Eppure, non so per colpa di chi ma certo non nostra, ci hanno condannato lo stesso come se si trattasse di una discarica vera e propria. La verità è che tra le 200 discariche c’erano situazioni molto diverse”.
Campania prima per siti in infrazione. Seguono Calabria, Abruzzo e Lazio – Ma a pagare il conto più salato, come detto, non sarà certo la Sardegna. Né l’Emilia Romagna: nel 2014 avevano, ciascuna, un solo sito in infrazione. Come Marche, Molise, Piemonte e Umbria. Il conto più salato è quello che dovranno pagare principalmente la Campania (che al momento della condanna aveva 48 discariche non a norma), la Calabria (43), l’Abruzzo (28 siti) e il Lazio (21). Seguite a distanza da Puglia e Sicilia (12 ciascuna), Toscana e Liguria (entrambe sei discariche illegali) e infine Lombardia (quattro siti), Friuli (tre), Basilicata (due). Di che cifre si tratta? La Corte di Giustizia europea ha comminato una sanzione forfettaria di 40 milioni per le 200 discariche incriminate che però non sono tutte uguali: circa 188mila euro per le discariche semplici, il doppio per 14 siti di rifiuti pericolosi. Lo Stato ha sborsato i 40 milioni della multa il 24 febbraio 2015. Ma poi ha dovuto pure pagare gli interessi di mora (85mila euro, corrisposti l’11 maggio 2015) e soprattutto una penalità (versata sempre dal Mef ad agosto 2015) per le discariche che nel frattempo non erano state bonificate: altri 39,8 milioni, solo per il primo semestre dalla condanna. E il conto continua ad accumularsi: l’Ue lo scorso 9 febbraio ha notificato all’Italia un’ingiunzione di pagamento per il secondo semestre per un totale di 33,4 milioni di euro. Cifra scesa, per il terzo semestre dalla condanna, a 27,8 milioni: nel frattempo infatti le discariche ancora in infrazione sono passate dalle 200 originarie a 155 e poi a 133.
Per De Luca conto da 17,8 milioni – Il Mef ha fretta di rivedere quei soldi e vuole limitare i danni in modo che siano sempre meno le penalità semestrali da pagare. Di qui le ingiunzioni di pagamento che dovrebbero avere l’effetto di mettere il sale sulla coda alle regioni. Per questo la Ragioneria è tornata alla carica, ma ad oggi senza successo. Degli 80 milioni pagati dallo Stato nel 2015, quasi 55 sono imputabili a quattro regioni: la Campania che deve 8,8 milioni solo a titolo di partecipazione alla sanzione forfetaria iniziale di 40 milioni per i 48 impianti abusivi, mentre altri 9 milioni e mezzo sono dovuti per gli interessi di mora e per coprire la penalità del solo primo semestrale. Al secondo posto c’è la Calabria da cui il Tesoro vorrebbe indietro una cifra vicina ai 17 milioni, seguita dall’Abruzzo che con le sue 28 discariche in infrazione ha maturato un debito nei confronti dello Stato per 10,2 milioni di euro. Fuori dal podio il Lazio che ha maturato un debito da poco più di 8,1 milioni, la Sicilia a cui il Mef ha notificato un conto da 5 milioni. E ancora. A seguire la Puglia, a cui sono stati richiesti 4,2 milioni, Liguria 3,9, Veneto 3,5 milioni. Meno salato il conto per la Lombardia (2,3 milioni) e la Toscana (2,1 milioni). Sotto il milione di euro a quota 388mila euro ciascuna si piazzano Friuli Venezia Giulia, Sardegna e al Molise. Chiudono la classifica con un richiesta da parte dello Stato di 776 mila euro Basilicata, Piemonte, Marche, Umbria ed Emilia Romagna. Totale nazionale 79.885.589,81 euro. Che ora comuni e regioni sperano che il governo cancelli con un tratto di penna. Padoan permettendo.