Cultura

Palermo, la farsa del percorso Unesco delle chiese arabe in Sicilia

Non sono uno storico dell’arte e mi scuso quindi per involontarie imprecisioni, ma, nel silenzio di chi avrebbe più competenze delle mie per parlare, non posso non denunciare la mistificazione storica del sito Unesco “Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale” che contribuisce, nell’immaginario collettivo di cittadini, guide e turisti, a consolidare il mito di una Palermo araba cui si vorrebbe attribuire di tutto: dai monumenti del percorso alla ricetta originaria della cassata o della granita siciliana. Comprendo le ragioni “politiche” dell’Unesco nel voler ricercare un momento di convivenza pacifica tra cristiani, ebrei e musulmani che sia d’esempio per i nostri giorni, ma una certa pace e la tolleranza in Sicilia si ebbero dopo la dominazione araba, non durante, sotto i re normanni. Anche nel recente caso della spianata delle moschee di Gerusalemme l’Unesco ha pensato male di manipolare la storia per esigenze politiche contemporanee contro gli occupanti israeliani. Si può però seriamente promuovere la pace e la convivenza tra i popoli al prezzo della verità storica? Penso proprio di no.

Per onestà intellettuale va quindi ribadito che nessuno dei monumenti del percorso Unesco sia stato realizzato durante la dominazione araba in Sicilia, ma solo un secolo dopo, una volta consolidatasi la dominazione normanna che ha voluto celebrare se stessa con monumenti che sintetizzassero, in un originalissimo stile architettonico ed artistico, le varie influenze culturali presenti nell’isola, a cominciare da quelle bizantine. La chiesa di San Cataldo, ad esempio, con le sue caratteristiche cupolette rosse (rimaneggiate nel XIX sec.) non è mai stata una moschea anche se persino rappresentanti delle istituzioni raccontano pubblicamente questa favola. Molto di quello stile che comunemente viene detto “arabo” altro non è che l’elemento orientaleggiante dell’architettura bizantina, non a caso nata e cresciuta in medio oriente a Costantinopoli/Bisanzio (l’attuale Istanbul musulmana che, salvo le cisterne e poco altro, ha rimosso ogni memoria della Roma d’Oriente, quella di prevalente cultura greca). Lo stile architettonico del percorso Unesco è quindi innanzitutto uno stile romanico, bizantino e infine arabo più per la manovalanza artistica che per la presenza di veri architetti arabi.

Gli arabi di prima dell’anno mille non erano portatori di una propria architettura, nomadi come erano, furono dei vettori di conoscenze pratiche (es. sistemi di irrigazione), di semi di piante da frutto (es. arance) e di altri vegetali dall’oriente, soprattutto da quella grande civiltà che fu la persiana. Salvarono dai barbari testi filosofici greci, furono esperti navigatori, studiosi della geografia, delle stelle come della matematica, ma il condizionamento del Corano dettato da Allah e quindi non interpretabile ha comportato per secoli, fino ai giorni nostri, il costante richiamo della guerra santa proselitista e problemi con la cultura scientifica e dei i diritti civili consolidatasi nei secoli in Occidente. Persino Wikipedia riconosce che “l’architettura arabo-normanna è una definizione impropria, poiché gli arabi, nomadi per origine e vocazione, non furono mai portatori di una propria architettura, ma assimilarono la cultura mediorientale e neoellenica dei paesi islamizzati durante la loro avanzata, elaborando varie sintesi architettoniche, legate ai diversi imperi: FatimidiZiridiAghlabidiAbbassidiAlmoravidi ecc. che culminarono con originali tipologie in Egitto, Magreb e penisola iberica. Durante il dominio normanno, in Sicilia e nell’Italia meridionale nei secoli XI e XII queste tipologie furono sincretizzate con l’arte bizantina e romanica normanna dando luogo ad una fioritura di edifici, capolavori della scuola architettonica siculo-normanna”. Ecco, siculo-normanno sarebbe il nome giusto del percorso Unesco, ma vediamo allora di capire il perché della resistenza di questo mito della Palermo araba felice.

Un’illuminante lettura del libro inchiesta sull’Eni di Giuseppe Oddo, “Lo stato parallelo” mi ha permesso di capire, così credo, la causa profonda di tanto filo arabismo italiano.

La politica estera italiana coincide nei fatti con gli interessi della nostra principale multinazionale che nell’intuizione del suo fondatore, Enrico Mattei, per ritagliarsi uno spazio d’affari tra le sette sorelle, intraprese un’inedita collaborazione con i Paesi produttori, entrando di fatto in società con questi. Dietro le simpatie di Craxi e Andreotti durante la prima Repubblica o di Berlusconi nella seconda per i regimi dei Paesi arabi produttori, c’è forse questa semplice motivazione di interessi. E, poiché non guasta mai, sopra la grammatica degli interessi regna poi la retorica ideologica di chi non avendo simpatie per Israele, per il suo alleato storico, gli Usa, e per i valori cristiano-occidentali in generale, è sempre pronto a sopravvalutare le responsabilità di una parte a scapito dell’altra rinfacciando semmai le crociate come se nella contabilità delle atrocità della storia esse avessero mai iniziato o eguagliato le incursioni e le violenze subite per mano islamica come questo video ricorda.

Per la cronaca, l’ultima incursione saracena a Palermo si è avuta nell’ottocento (XIX sec.) ai danni della tonnara di Mondello. Non a caso, tutte le coste del Meridione sono costellate da tanti secoli di torri di avvistamento.