Con l’avvicinarsi delle festività natalizie cresce nel nostro Paese il consumo del pesce, ma c’è grande confusione: ci accorgiamo di come sia difficile sapere se il pesce che stiamo per acquistare è sostenibile o meno.
Un sondaggio sul consumo di pesce commissionato da Greenpeace in Italia rivela che ben il 77 per cento degli intervistati è disposto a pagare di più il pesce pur di avere garanzie sulla sua sostenibilità e il 91 per cento è pronto a modificare le proprie abitudini alimentari per ridurre lo sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche e tutelare il mare. Al momento però risulta difficile orientarsi sia nel banco del pesce fresco che tra gli scaffali del pesce in conserva.
Le certificazioni aiutano? Solo se sono affidabili.
Un recente rapporto del Wwf, di cui ha dato notizia il quotidiano britannico The Times analizza in modo specifico l’esperienza del processo di certificazione della pesca al tonno in Oceano Indiano da parte di MSC (Marine Stewardship Council), prendendolo come esempio delle cattive pratiche diffuse all’interno dell’organizzazione nei processi di certificazione.
Il rapporto solleva dubbi sull’accuratezza e l’affidabilità dei processi di certificazione MSC, al momento probabilmente la più diffusa certificazione di sostenibilità del settore ittico, anche se ancora poco conosciuta in Italia. Il rapporto indica che MSC è intervenuto nei propri processi per cercare di assicurare l’esito positivo di certificazioni, che non sarebbero dovute essere concesse in base agli standard dello stesso MSC. Si evidenzia come vi sia un chiaro conflitto di interessi: MSC da un lato dovrebbe garantire, tramite i suoi standard, la piena sostenibilità dei prodotti certificati, dall’altro trae profitto dal concedere alle aziende il proprio logo. Il rapporto parla di come in alcune occasioni MSC abbia piegato le proprie stesse regole per favorire il suo business, abbassando i propri standard e senza tener conto delle indicazioni negative dei diversi portatori di interesse intervenuti nel processo di certificazione.
Questo modo di operare non solo compromette il nome del “logo blu” di MSC ma mina la fiducia dei consumatori, danneggiando quella parte delle certificazioni che vengono concesse a attori che operano davvero in maniera sostenibile e stanno facendo uno sforzo per cambiare l’industria della pesca, come le flotte che pescano tonnetto striato a canna o senza Fad (Sistemi di aggregazione per pesci). Greenpeace da tempo ha sollevato dubbi sulla affidabilità delle certificazioni del pesce oggi esistenti. Purtroppo al momento nessun sistema di certificazione, e tantomeno MSC – come dimostrato dal rapporto del Wwf, garantisce la reale sostenibilità del pesce che mettiamo in tavola.
Senza informazioni chiare e certificazioni serie e indipendenti, le scelte dei consumatori sono così influenzate dall’attuale distorsione del mercato, invaso da prodotti ittici provenienti per lo più dalla pesca industriale e non sostenibile. Nonostante vi sia un’ampia varietà di specie ittiche commerciali, consumiamo solo poche varietà, spesso fortemente in declino a causa di una pesca eccessiva e distruttiva.
Per questo è necessario che siano i produttori e i rivenditori, a partire dalle grandi industrie conserviere e le catene di supermercati a diventare garanti della sostenibilità dei propri prodotti davanti ai consumatori, stabilendo standard e obiettivi stringenti e seri sistemi di tracciabilità, senza affidarsi “per semplicità” a certificazioni i cui standard sono ancora lontani dall’essere applicati in maniera rigorosa. E quest’anno, per le feste, proviamo a cambiare, a consumare meno e meglio scegliendo il pesce giusto con gli strumenti che abbiamo a disposizione, come la classifica Rompiscatole su tonnointrappola.it e fishfinder.greenpeace.org.