Al giudice ha spiegato che non aveva versato le ritenute Irpef perché l’azienda in crisi non poteva farlo. Ha detto che le banche avevano abbandonato lui e i suoi fratelli nella gestione della Poolmeccanica di San Michele al Tagliamento (Venezia) e che quella richiesta dello Stato era insostenibile. Ha aggiunto che da buon imprenditore aveva cercato di salvare i posti di lavoro, investendo tutte le risorse, anche quelle personali e di famiglia, nella fabbrica. Ci è riuscito anche se poi, provato nel fisico e malato, è finito in un’aula di Tribunale per rispondere penalmente di quello che ha fatto. Diego Lorenzon, 53 anni, di Cordovado (Pordenone), dopo un’appassionata, coinvolgente, a tratti commovente dichiarazione spontanea, è stato assolto in Tribunale a Pordenone perché il fatto non costituisce reato.

Evidentemente il magistrato si è convinto che non ci fosse dolo nel comportamento di un imprenditore che faticosamente, ma senza vergogna e quasi con orgoglio ha raccontato la sua storia. “Il mio pensiero fisso era quello di tenere duro per l’azienda e le famiglie degli operai”. Così ha esordito difendendosi dall’accusa di non aver versato ritenute certificate, relative all’Irpef del 2012, per 263mila euro. Una somma che aveva sforato di oltre centomila euro il limite di non perseguibilità penale fissato a 150mila euro.

Di fronte al giudice Rodolfo Piccin tutto sembrava far pensare a un rinvio tecnico. Ma temendo di non poter partecipare alla prossima udienza per ragioni di salute, Lorenzon, assistito dagli avvocati Giovanni Moschetti e Paolo Dell’Agnolo, ha chiesto di parlare.

Come riferisce la cronista de “Il Gazzettino”, Lorenzon ha detto: “La mia azienda ha una storia di 400 anni, in una situazione di crisi senza precedenti anche noi, piccola azienda metalmeccanica, ci siamo ritrovati in questa centrifuga. Nel 2008 sette banche su otto ci hanno abbandonati dalla sera al mattino”. Situazione improvvisamente drammatica. “Ci hanno chiesto di rientrare, ci siamo ritrovati con i fidi azzerati e a pagare la materia prima in contanti. E pensare che non riuscivamo ad incassare 400mila euro dagli enti pubblici. Ho chiesto allo Stato di rateizzare per poter pagare gli operai”.

Un imprenditore che non ha mollato. “Siamo tre fratelli: non abbiamo né panfili né case a Cortina. Tutto viene reinvestito in azienda”. Hanno fatto ricorso a parenti e amici, ai beni personali. E sono riusciti a raddrizzare la baracca. “Più di qualcuno mi disse di portare i libri in tribunale, ma ho pensato di tener duro. Sono prevalsi concetti di etica e morale che per una famiglia e un’azienda sono fondamentali. Non è stato facile. Per tre anni non ho mai dormito una notte intera per la pressione e la frustrazione. Mi chiedevo se andavo nella direzione giusta, adesso le banche stanno chiudendo, noi no».

L’imprenditore, che in dieci anni ha detto di aver pagato tasse per quasi 7 milioni di euro, è stato assolto. “Adesso chiedo solo un po’ di pace e serenità per concentrarmi nella mia azienda”. Il giudice non ha rinviato l’udienza, ha chiesto alle parti di concludere. Anche la pubblica accusa ha chiesto l’assoluzione: “Cosa si può chiedere di più a questa persona?”. Il magistrato non si è nemmeno ritirato in camera di consiglio. Ha letto il dispositivo, tra gli applausi di avvocati e pubblico.

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