Un consiglio agli indecisi: spegnete la televisione e rileggete il testo integrale del discorso recentemente pronunciato dal governatore della Campania Vincenzo De Luca; esaminate con attenzione soprattutto le norme della riforma costituzionale che rendono non elettivo il Senato della Repubblica; ricordatevi che esiste una legge elettorale chiamata Italicum che assegna un premio di maggioranza abnorme, che di fatto può sancire il dominio di quella che è stata definita una minoranza maggioritaria.
Non turatevi il naso per votare cose che non vi piacciono. I governi e le loro maggioranze passano, le Costituzioni, anche se sbagliate, durano decenni. Il referendum riguarda la Costituzione. La Tv va spenta, perché, con poche eccezioni, ha permesso al presidente del Consiglio di occupare un quarto degli spazi disponibili, riproponendo il referendum come plebiscito sulla sua augusta persona; prospettando sfracelli, in caso di vittoria del No, pioggia di investimenti stranieri e addirittura guarigioni miracolose, se prevale il Sì.
Il referendum riguarda invece spazi di democrazia che si aprono o si chiudono. Per dirla con Salvatore Settis, la sommatoria tra Italicum riforma costituzionale “mostra la chiara intenzione di far leva sull’astensionismo per controllare i risultati elettorali, restringendo de facto la possibilità dei cittadini di influire sulla politica”. L’Italicum è una legge in vigore, il premier dice di volerla cambiare dopo averla imposta chiedendo la fiducia. Se vince il Sì, potrebbe cambiare idea: aiutiamolo, votando No.
Lo stesso dicasi per la proposta “Chiti-Fornaro” sull’elettività del Senato, ibernata nel gennaio scorso e riportata in vita (con ampia esibizione di schede purtroppo fasulle) quando la diffusa perplessità su un Senato di nominati ha cominciato a preoccupare il fronte del Sì. Non si tratta di credere o meno a Renzi, semmai, anche in questo caso, di aiutarlo a fare la scelta giusta. Di certo una vittoria del Sì non andrebbe in questa direzione.
Le parole di De Luca sono importanti e bisogna essergli grati per aver descritto con lucida sincerità un sistema di governo fatto di fritture referendarie e appassionato culto delle clientele. Il suo non è un appello a votare ma a far votare Sì. Non si rivolge alla platea dei cittadini, ma a chi detiene il potere. Il testo è di una franchezza brutale, soprattutto nei passaggi meno coloriti. Come questo: “L’idea, tutta ideologica, che ogni cittadino deve avere la sua rappresentanza è un’imbecillità”. Don Viciè non si limita a esaltare Franco Alfieri, sindaco di Agropoli (“ …che lui sa fare le clientela bene, come Cristo comanda…”), ma spiega come lo stesso metodo possa essere messo a frutto in campo sanitario.
Chiede di raccogliere un milione e mezzo di Sì e viene ricompensato con una legge che gli permette di essere, allo stesso tempo, governatore della Campania e commissario della Sanità regionale, cioè in qualche modo controllore di se stesso.
Il percorso di De Luca è opposto rispetto a quello compiuto da Piersanti Mattarella, il presidente democristiano della Regione Sicilia, assassinato (6 gennaio 1980) per ordine di Cosa Nostra mentre tentava di ridurre, anche attraverso l’apertura al Pci, il potere di clientele e centri di interesse extra-istituzionale e mafioso: allargando gli spazi di democrazia e non mettendo il bastone del comando nelle mani di una “minoranza maggioritaria”, come vorrebbe il governatore più amato da Crozza. Erano altri tempi e la storia, anche quella del Pci-Pds-Ds-Pd, sembra aver preso ora la strada più gradita a De Luca. Forse, per dirla con Renzi, il 4 dicembre si può cambiare verso.