Ancora non è detto, però ci sono concrete speranze che il 4 dicembre porti buone notizie per il composito fronte del No. Se così sarà, un riconoscente pensiero di ringraziamento dovrà essere rivolto al nostro premier. Visto che l’aspetto dominante nella partita è l’inarrestabile reazione di rigetto da antipatia che si diffonde nei suoi confronti. Molto ha fatto e dato alla promozione del pollice verso al pasticcio, spudoratamente rinominato riforma, l’insopportabile petulanza, accompagnata da piccole malignità e grandi smorfie, del Matteo Renzi da Rignano.
I reiterati autogol sottolineati dall’ansia di protagonismo del bomber al contrario; potenziati dal voler occupare da solo l’intero campo di gioco, per evidente sfiducia nei compagni di squadra. A partire dalla ministra Boschi, sconcertante nel ripetere a disco rotto e a casaccio frasi imparate a memoria ma decontestualizzate.
Dunque, grazie Renzi. Comunque andrà, è stato bello averti dalla nostra parte; seppure a tua insaputa. Sebbene la partita non sia ancora conclusa e le sorprese sempre possibili. Ad esempio, i colpi di coda del Giglio Magico, maldestro quanto spregiudicato nel difendere i propri tesoretti/tesoroni di potere. E pure i passaggi di campo verso il Sì. Da quelli sospetti alla Gianni Cuperlo e Giuliano Pisapia, sagaci (?) investitori in un posto al sole a futura memoria, a quelli da analisi psicanalitica; come nel caso di Fabrizio Barca.
A tale proposito confesso di essere rimasto letteralmente basito leggendo dell’endorsement renziano di una testa lucida (e – per come la conoscevo – critica) quale quella dell’unico ministro presentabile del governo Monti. Purtroppo – a ben vedere – nel suo caso risulta irresistibile il richiamo affettivo; il ricordo di un partito paterno (il paleo Pci) che – appunto – ormai sopravvive solo in qualche raro immaginario filiale.
D’altro canto, a fronte di queste pulsioni autodistruttive, non difettano gli istinti suicidi nello schieramento contrapposto. Che andrebbero tenuti a bada almeno in questi ultimi quattro giorni. Quanto sto percependo nel mio piccolo, andando in giro a presentare un libretto che ho scritto allo scopo di promuovere il No.
Dato che ben poco siamo in grado di influenzare la destra politica, dove il ritorno “pro No ma anche Sì” di Berlusconi crea solo confusione (ma quando il riccone si fa avanti, il suo peso patrimoniale azzittisce l’intera componente), forse si potrebbe concordare uno stop agli autogol con i soggetti di sinistra critica e i Cinquestelle.
Per i primi si tratta semplicemente di usare con maggiore parsimonia i residuati bellici, da D’Alema e De Mita (nel mio caso, ho condiviso a Milano qualche jingle con il rieccolo La Malfa jr.), per evitare la sensazione del ritorno in pista di ambizioni senili, e contenere i danni dei legulei in campo; caduti nella trappola renziana di ridurre l’oggetto referendario a un workshop di costituzionalisti monomaniaci.
Più complicato il caso Cinquestelle. Come alcuni amici, in passato avevo nutrito la speranza che le nuove leve del Movimento si liberassero del peso paterno conquistando – al tempo – autonomia e ragionevolezza da forza di governo. I baldi giovanotti/giovanotte, dopo un notevole numero di pastrocchi, sono rientrati sotto il tetto domestico da bravi bamboccioni. Anche perché il capocomico Beppe Grillo, la cui natura è quella del mattatore in preda all’ansia permanente di non cedere la scena, è tornato a recitare l’unico copione che conosce: il profeta collerico che terrorizza con un messianesimo delirante platee elettorali ancora incerte. Un po’ come fece al tempo delle elezioni europee, con effetti devastanti.
Al limite, la cosa migliore per il No potrebbe essere quella di stare fermi, lasciando che Renzi continui a imperversare nella sua strategia suicida.