Nelle cassette della posta, secondo quanto annunciato dal presidente del Consiglio, ci sono puntualissimi i depliant del Sì cambia che, insieme a slogan e numeri magici, privi di ogni riscontro, derivanti dalla liquidazione della casta di cui ci si può sbarazzare con una crocetta, mette a confronto i volti rassicuranti dei cittadini per il Sì con un estratto dell'”accozzaglia” dei vecchi lividi e rancorosi del fronte del No già largamente sbeffeggiati, in cui non compare naturalmente l’evergreen Silvio Berlusconi.
Se si accende la tv si è letteralmente sommersi dall’onnipresenza di un premier che da oltre due mesi ha come unico impegno la propaganda per la riforma su cui ha investito, con tutti i più opportunistici pseudopentimenti, il suo futuro politico. Tanto che, come ha osservato nel corso di un’intervista alla Stampa Gustavo Zagrebelsky: “La povera Costituzione è diventata pretesto per una consacrazione personale plebiscitaria”.
Nelle piazze o in sedi pubbliche delle nostre città con la campagna nazionale #bastaunsindacoinpiazza i primi cittadini si sono fatti promotori in prima persona di un’iniziativa marcatamente politica e di parte che sovrappone con molta disinvoltura “la discesa in campo”, a fianco di un premier frontman del Sì, al profilo istituzionale della carica.
A Rimini, per una di quelle singolari coincidenze che rendono bene l’atmosfera della settimana prima del voto, mentre il sindaco Gnassi, ovviamente “sindaco di tutti”, praticava e rivendicava orgoglioso il suo attivismo per il Sì, l’inclusione in un’assemblea sindacale indetta dalla Cgil, tra vari punti all’odg, di uno intitolato “Le ragioni per votare No al referendum” ha suscitato reazioni a catena e soprattutto il tentativo di boicottarla e di intimorire i docenti.
Si sono mobilitati una dirigente scolastica, il prefetto, vari presidi, nonché un onorevole del Ncd, Sergio Pizzolante, con un’interrogazione urgente ai ministri Giannini ed Alfano per “appurare la legittimità di assemblee sindacali finalizzate alla propaganda elettorale” e per invocare eventuali provvedimenti nei confronti di chi le ha autorizzate. E non è mancata nemmeno la voce dell’insuperata Paola Binetti di AP che ha tuonato contro la Cgil rea di indire assemblee dei docenti in orario di lavoro per denunciare una “riduzione degli spazi della democrazia” se la riforma venisse confermata.
La Cgil ha ritenuto di non fare alcun passo indietro, non ha annullato nessuna assemblea e si è riservata di decidere di volta in volta dove svolgerle. Il segretario Graziano Urbinati ha sottolineato riguardo all’accusa di “propaganda” mossa dal prefetto che “nell’ambito del diritto di assemblea sancito dalla Costituzione i lavoratori possono discutere di tutti i temi che ritengono inerenti alla loro condizione e che le restrizioni citate nella circolare, ex lege 22 febbraio 2000, n.28, non riguardano il sindacato ma le pubbliche amministrazioni”.
E infatti la legge in oggetto, come è stato rilevato da qualcuno sul fronte del No, potrebbe riferirsi eventualmente alla discesa in campo dei sindaci per il Sì, organizzata su base nazionale che prevede che “dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione… in forma impersonale… di quelle indispensabili… per l’assolvimento delle proprie funzioni”.
E’ difficile non condividere l’impressione del segretario della Cgil di Rimini riguardo “il clima sempre più pesante” che arriva ad impedire la libertà di informazione e la libertà di espressione sui luoghi di lavoro”. E contemporaneamente stiamo assistendo alla benevola tolleranza che avvolge e protegge i metodi del “grande amministratore” De Luca e al pressing governativo, solo un po’ più felpato, sugli imprenditori amici perché convincano i lavoratori a “votare bene”.