Il cancello del lager nazista di Dachau, con la scritta “Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi) è stato ritrovato in Norvegia, a Bergen, grazie a una denuncia anonima. Secondo la polizia bavarese, che lo ha recuperato, “con molta probabilità” si tratta di quello che era stato rubato due anni fa. Già subito dopo il furto del 2 novembre 2014 un testimone raccontò che un uomo con un accento scandinavo, al volante di un’auto con i fari spenti, gli aveva chiesto indicazioni stradali per raggiungere il lager.

La cancellata di ferro, dal peso di cento chili, si trovava all’ingresso del campo di concentramento di Dachau, vicino Monaco. Il lager fu il primo aperto dai nazisti, il 22 marzo 1933, e servì come ‘modello’ per i successivi campi di sterminio. La scritta “Arbeit macht frei”, che poi fu affissa all’ingresso di molti altri lager, fu realizzata per ordine dei nazisti dal prigioniero comunista Karl Roder. Oltre 200mila persone – prigionieri politici, ebrei, zingari, omosessuali – furono prigioniere nel campo, dove morirono 41.500 deportati. Quando il lager fu liberato dagli alleati il 29 aprile 1945, al suo interno erano ancora rinchiusi 30mila prigionieri di 31 paesi diversi.

Gabriele Hammermann, direttrice del memoriale di Dachau, ha promesso che la cancellata verrà nuovamente esposta al pubblico, una volta restaurata. Bisognerà valutare se rimetterla nel luogo originale, dove ora c’è una copia, oppure se inserirla come parte di una esposizione. “Sono molto sollevato che questa prova originale del cinismo dei nazisti e del loro disprezzo per l’umanità sia stata ritrovata”, ha aggiunto Karl Freller, responsabile dei siti della memoria nella Baviera meridionale, dove si trova l’ex lager. La scomparsa della cancellata aveva provocato forti reazioni, con la cancelliera tedesca Angela Merkel che aveva parlato di atto “repulsivo” promettendo di portare i colpevoli davanti alla giustizia. Nel 2009 la stessa scritta era stata rubata dal campo di sterminio di Auschwitz. In quel caso il furto era stato commissionato da Anders Hoegstroem, leader di un gruppo neonazista svedese.

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