Con i venti del populismo xenofobo che spirano da est, ma anche dal cuore del Vecchio Continente, tutti gli occhi della politica europea saranno puntati sul risultato austriaco. Se l’esito del maggio scorso venisse confermato, il Paese rimarrebbe attaccato al treno dell’Ue. Un suo ribaltamento, invece, aprirebbe due possibili scenari: il primo trionfo dell’ultranazionalismo di destra, con le elezioni in Francia, Germania e Olanda alle porte, e la possibilità di un referendum austriaco sull’uscita dall’Europa, l’Oexit
Vienna sarà il primo esame di maturità per la destra ultranazionalista in Europa occidentale. Dopo l’annullamento di maggio per irregolarità formali e il rinvio del 2 ottobre scorso per un difetto nelle buste contenenti le schede per corrispondenza, il 4 dicembre l’Austria eleggerà il suo prossimo Capo di Stato. All’ultimo ballottaggio, il candidato dei Verdi, Alexander Van der Bellen, era riuscito a vincere con un distacco di solo 31 mila voti. Dall’altra parte, ad affrontarlo, l’ultranazionalista, anti-establishment ed euroscettico Norbert Hofer (nella foto), candidato del Partito della Libertà austriaco (Fpö). Con i venti del populismo xenofobo che spirano da est, soprattutto da Ungheria e Polonia con i governi targati Fidesz e Diritto e Giustizia, ma anche dal cuore del Vecchio Continente, come in Germania con Alternative für Deutschland e in Francia con il Front National, tutti gli occhi della politica europea saranno puntati sul risultato austriaco. Se l’esito del maggio scorso venisse confermato, il Paese rimarrebbe attaccato al treno dell’Ue. Un suo ribaltamento, invece, aprirebbe due nuovi possibili scenari: il primo trionfo dell’ultranazionalismo di destra, con le elezioni in Francia, Germania e Olanda alle porte, e la possibilità di un referendum austriaco sull’uscita dall’Europa, l’Oexit.
Il populista che arringa il proletariato e il professore che piace agli intellettuali
I sondaggi lo ripetono da mesi e i candidati lo sanno bene: vincerà chi da maggio sarà riuscito a tenersi stretto o a conquistare quei 31 mila voti che fanno la differenza tra l’Hofburg e la sconfitta. È anche per questo motivo che entrambi, in questi sette mesi, hanno cercato di racimolare consensi pescando anche tra i simpatizzanti dell’avversario.
Da una parte c’è Norbert Hofer, 45 anni, candidato del Fpö. Il suo diretto rivale dice che una sua vittoria porterebbe a una “trumpizzazione” dell’Austria. In effetti, come il neoeletto Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, Hofer è riuscito ad arrivare a un passo dalla presidenza partendo come outsider. Il suo stesso partito riponeva in lui poche speranze. Come Trump, si propone come il nemico delle élite politiche e dell’establishment nazionale ed europeo. E come lui porta avanti una politica anti-immigrazione e anti-Islam al grido di “Prima gli austriaci”, sostenendo che gli arrivi e gli sbarchi avvenuti in Europa negli ultimi anni hanno aperto le porte a criminali, potenziali stupratori e terroristi. L’Islam, ha dichiarato, “non fa parte della cultura dell’Austria”. Questi messaggi forti, però, vengono lanciati con la faccia rassicurante e la calma che contraddistinguono ormai i partiti ultranazionalisti occidentali, ormai ripuliti dall’iconografia estremista e dagli slogan violenti gridati a squarciagola. A fianco degli ideali cari all’ultradestra nazionalista, Hofer inserisce un euroscetticismo tipico dei movimenti populisti riemersi velocemente nel Vecchio Continente. Sulla possibilità di una Brexit in salsa austriaca ha fatto qualche passo indietro rispetto al passato, proprio con l’obiettivo di attirare il voto degli indecisi più moderati. Ma in una recente intervista alla Bbc ha spiegato le ragioni di un possibile referendum consultivo sull’uscita dell’Austria dall’Unione Europea. L’Europa è importante per l’Austria, ha detto, ma “serve un’Europa migliore”. Se, dopo la Brexit, Bruxelles opterà per un accentramento del potere, togliendone così agli Stati nazionali, allora un voto sulla Oexit è possibile.
Dall’altra parte della barricata c’è Alexander “Sascha” Van der Bellen, 72 anni, professore ed economista figlio di profughi benestanti fuggiti dalla Russia dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Un passato, quello dell’esponente dei Verdi e della sua famiglia, che lo allontana dalle posizioni del proprio avversario sul blocco agli immigrati. Una politica, quella delle porte aperte ai migranti, che paga il clima di insofferenza verso i profughi che ha colpito anche l’Austria, paese da 8,5 milioni di abitanti che ha registrato 100 mila arrivi nel solo 2015. Appoggiato da intellettuali, accademici e dall’ala europeista del Paese, Van der Bellen ha manifestato agli elettori la propria preoccupazione riguardo alla possibilità di una vittoria di Hofer. Un pericolo, a suo dire, per il futuro dell’Austria e la sua presenza nell’Unione Europea. Deve però fare i conti con un proletariato, soprattutto quello che vive nelle aree rurali del Paese, sfiduciato e che ha manifestato maggiori simpatie per il candidato nazionalista. Per questo ha strizzato l’occhio ai cattolici, appoggiando la presenza del crocifisso nelle scuole pubbliche, e alle popolazioni delle province, dove ha partecipato a diverse feste popolari.
Austria, primo banco di prova per la destra nazionalista europea
Con gli Stati Uniti che hanno eletto uno dei candidati più populisti della loro storia, una Brexit che non fa più così paura come alla vigilia del referendum britannico e i gruppi xenofobi in ascesa in gran parte del continente, l’elezione del membro del Fpö potrebbe rappresentare il primo vero punto di rottura tra il passato dei partiti tradizionali e una nuova era in cui emergono vittoriosi i movimenti populisti e ultranazionalisti. Si tratterebbe della prima presidenza di questo tipo in Europa occidentale che aprirebbe a due nuovi scenari possibili. Primo, l’elezione di un presidente ultranazionalista potrebbe creare un effetto domino in vista delle elezioni del 2017 in Francia, dove Marine Le Pen sembra essere ancora in vantaggio nei sondaggi rispetto alla sinistra e al candidato repubblicano François Fillon, in Olanda, dove tra i principali candidati alla vittoria c’è l’euroscettico Geert Wilders, e in Germania, dove Angela Merkel dovrà guardarsi le spalle dall’ascesa di Frauke Petry e del suo partito di estrema destra Alternative für Deutschland. Secondo, la vittoria di Hofer potrebbe aprire alla Oexit. Il candidato di destra, anche per esigenze elettorali, ha ammorbidito la sua posizione sul referendum per uscire dall’Unione Europea, ma non lo ha mai escluso del tutto. Se l’Europa dovesse continuare con la sua politica accentratrice, Hofer spingerà gli austriaci alle urne.