C’è qualcosa che salva nell’approccio omeopatico e che andrebbe adottato anche in medicina?
W.R.: Certamente l’approccio olistico che viene utilizzato nel paziente, l’attenzione all’interazione mente-corpo, che evidentemente è sempre più necessaria, vincono sulla parcellizzazione che spesso viene operata nella medicina tradizionale. Che cura sempre più l’organo e sempre meno la persona nel suo complesso. Tuttavia, credo sarebbe preferibile che la medicina convenzionale recuperasse questo spazio, che è anche uno spazio di dialogo con i pazienti, e che certamente fa parte a pieno titolo della cura. Piuttosto che ritardare cure efficaci, a mio parere un rischio reale, concreto e forse il più importante.
Che cosa l’omeopatia non può in alcun caso sostituire della medicina tradizionale?
S.B.: L’omeopata, secondo il codice di deontologia medica, non deve sottrarre il paziente a cure più efficaci. Pertanto, l’omeopatia non può che essere complementare alla medicina ortodossa, una sua alleata e non un’alternativa. È il medico che fa una diagnosi e sceglie, in scienza e coscienza, di cosa ha bisogno il paziente: se solo del medicinale omeopatico, oppure di entrambi, o ancora solo del farmaco chimico o di un intervento chirurgico. L’omeopatia non cura, ad esempio, il cancro, ma aiuta l’organismo a sopportare meglio le terapie anticancro. Così come può essere molto utile per migliorare il tono dell’umore del paziente colpito da una malattia grave. In allergologia, invece, grazie alla cura omeopatica è possibile svezzare il paziente dal cortisone o dall’antistaminico in un’alta percentuale di casi. Per contro, il diabete di tipo I, cioè quello insulino-dipendente, non può fare a meno dell’insulina. Che, infatti, nessun medico omeopata toglierebbe mai al suo paziente.