di Marta Coccoluto

Nel suo ultimo rapporto sulla comunicazione, il Censis ha definito quella che viviamo l’era biomediatica, o dell’esibizione del sé digitale. A vederla dal lato “oscuro”, un’era dal lifelogging esasperato, in cui lo sharing ha completamente surclassato la riservatezza e in cui le fonti di informazione sono così selezionate ed egocentriche da finire presto o tardi, complici gli algoritmi, a essere semplice specchio di chi le sta cercando e fruendo. Vero, ma esiste un rovescio della medaglia.

Superato il vecchio sistema gerarchico e verticale che comandava l’informazione, in cui le fonti tradizionali erano le uniche a trasmettere messaggi autorevoli, dunque “veri” (chi non ricorda l’espressione “l’ha detto il telegiornale”?), oggi è l’informazione prodotta sul web e dal web, veloce, a flusso continuo, orizzontale, selezionata e prodotta dagli utenti-destinatari, a farla da padrone.

E così, mentre si riduce il digital divide (se nel 2007 solo il 45% degli italiani utilizzava internet, la percentuale è oggi salita al 73%, con una crescita esponenziale di oltre il 10% solo negli ultimi 4 anni, e al 96% tra gli under 30 – dati Censis), aumenta il press divide, ovvero dove e come le persone cercano le informazioni per soddisfare i propri interessi, cercare risposte alle proprie domande, trovare soluzioni ai propri bisogni.

Quotidiani cartacei e libri continuano a diminuire il proprio appeal, salgono l’informazione online (il 54,6% della popolazione è estraneo ai mezzi a stampa) e ancor di più quella tramite social network (2 italiani su 3 li utilizzano, con una netta prevalenza di Facebook, usato dal 56,2% della popolazione e secondo mezzo di informazione dietro al telegiornale), con l’utente-destinatario al centro del sistema mediatico.

Grazie alle tecnologie digitali, ciascuno è libero di costruirsi percorsi autonomi di fruizione dei contenuti e di accesso alle informazioni. C’è di più, e qui sta l’opportunità che ancora stentiamo a vedere: sul web il singolo non è più semplicemente uno spettatore inattivo, un destinatario passivo di informazioni, ma diventa un potenziale produttore di contenuti, attraverso media diversi e integrati tra loro.

Tutto si gioca su come sfruttiamo questa ‘esposizione digitale’, su cosa produciamo e immettiamo sulla Rete, su cosa raccontiamo di noi sul web. Su come costruiamo attraverso il web la nostra reputazione online, come promuoviamo noi stessi, il nostro lavoro e i nostri progetti.

Alla domanda su come i grandi cambiamenti legati alle tecnologie mobili influiscono sul mercato del lavoro, il 46% degli italiani li giudica ininfluenti e il 33% pensa che le tecnologie digitali li distruggano, solo il 21% pensa che la rete crei nuove opportunità di lavoro (dati Censis).

La maggior parte delle persone non riesce ancora a vedere il web come una grande opportunità per costruirsi un’alternativa professionale, per promuovere i propri prodotti e servizi, per proporre le proprie competenze e la propria professionalità. Un grande megafono per dire pubblicamente chi è e cosa è capace di fare.

Anzi, la maggior parte delle persone va esattamente nella direzione opposta: utilizza questa “grande vetrina gratuita” aperta sul mondo per mettere in mostra, nel migliore dei casi, nulla di interessante per gli altri, nulla di rilevante per chi lo legge, nulla di utile alla propria reputazione e al proprio futuro professionale.

Eppure i nomadi digitali, la nuova generazione di professionisti che utilizza le tecnologie digitali per conquistarsi la libertà di poter vivere e lavorare ovunque nel mondo, ognuno seguendo le proprie motivazioni, ambizioni ed esigenze personali, sono un fenomeno in continua crescita. Lo confermano i dati di una ricerca sul lavoro del futuro, recentemente diffusi da Adp, multinazionale americana leader nella gestione del personale: il mestiere del futuro sarà senza uffici, posti fissi e gerarchie.

Il lavoro del futuro sarà mobile e connesso, flessibile e basato non più posto fisso, ma su una rete professionale estesa, sulla reputazione e sulle relazioni, risorse che supportano la crescita professionale e ampliano le possibilità di carriera. Nessuno verrà a bussare alla porta di casa, ma piuttosto cercherà informazioni online. La reputazione e il valore delle informazioni che condividiamo, produciamo e immettiamo online verranno prima del curriculum.

Forse non siamo interamente ciò che pubblichiamo o condividiamo in Rete, ma quel che pubblicamente dice chi siamo, cosa facciamo, in cosa siamo bravi e quali progetti e cause sosteniamo: un’opportunità troppo importante per non sfruttarla, o per sprecarla a suon di like e sharing.

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