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Referendum e banche, il Monte dei Paschi prende tempo. Le informazioni arrivano dai corridoi di Mediobanca

La vittoria del “No” ha provocato un cortocircuito informativo tra Siena, Roma e Milano. Il giorno in cui le banche del consorzio di garanzia avrebbero dovuto valutare il risultato dell’operazione di conversione dei bond subordinati e decidere se procedere o meno con l’aumento di capitale dell'istituto, nessuna decisione è stata presa

La vittoria del “No” al referendum ha provocato un cortocircuito informativo tra Siena, Roma e Milano. Il giorno in cui le banche del consorzio di garanzia avrebbero dovuto valutare il risultato dell’operazione di conversione dei bond subordinati e decidere se procedere o meno con l’aumento di capitale del Monte dei Paschi, nessuna decisione è stata presa. In un modo del tutto irrituale – a mercato aperto e senza la diffusione di un comunicato ufficiale – dalla riunione milanese degli advisor negli uffici di Mediobanca è filtrata la voce che le banche hanno deciso di far slittare di tre-quattro giorni ogni decisione in merito, anche per permettere ai possibili “anchor investor” (ammesso che esistano) di valutare l’evoluzione politica alla luce delle dimissioni annunciate del governo Renzi. Manco a dirlo, il titolo Mps – già sotto pressione fin dall’apertura del mercato – ha subito l’ennesima sospensione per eccesso di ribasso per chiudere poi la seduta in calo del 4,2% a 18,68 euro.

Il cortocircuito informativo non riguarda solo la modalità con la quale è stato comunicato il rinvio della decisione sull’aumento, una modalità atta a creare disparità informativa sul mercato e sulla quale però la Consob ha scelto di non intervenire. A lunedì sera non sono ancora neanche stati diffusi i risultati definitivi dell’offerta di conversione dei bond subordinati in azioni che si è chiusa venerdì scorso. E questo non è solo irrituale: è stata fatta un’offerta pubblica al retail e agli investitori istituzionali e dal suo risultato, come scritto nel prospetto, dipende in gran parte l’operazione di ricapitalizzazione. Non solo, a valutarne l’esito soddisfacente o meno saranno le stesse banche chiamate a decidere se dare corso alla costituzione del consorzio di garanzia per l’aumento di capitale. Ma la realizzazione stessa dell’aumento di capitale e il suo buon esito è a sua volta condizione indispensabile affinché l’offerta sia valida e la conversione possa avere corso. Insomma, è un’operazione in cui “tutto si tiene” e in cui la discrezionalità delle banche è massima e quindi, per definizione, sta agli antipodi della trasparenza informativa nonostante le azioni siano quotate e i bond subordinati oggetto dell’offerta siano stati collocati in massa al retail, vale a dire ai correntisti dello stesso istituto.

Possibile che non venga posto un limite alla discrezionalità? Che si consenta a non meglio specificate “fonti vicine all’operazione” di fornire – anziché dati e notizie oggettive – rumors price sensitive interpretabili a piacere? Cosa significa permettere agli “attori in campo, compresi i possibili anchor investor”, di valutare l’evoluzione del quadro politico? Che gli anchor investor ci sono o che gli advisor (e la banca) si danno ancora un po’ di tempo prima di staccare la spina? Non è ammissibile che – complice il silenzio delle autorità di controllo (Consob e Banca d’Italia) – si continui a giocare una partita a carte coperte, con tanto di bluff e rilanci, sul destino della terza banca italiana di cui peraltro il Tesoro è il primo azionista.