Un primo assaggio di quanto accadrà da domani in poi lo si è avuto oggi. Subito dopo la chiusura delle urne e con i risultati già netti. Il premier ha telefonato al capo dello Stato e secondo i retroscena il contenuto della conversazione è stato assai interessante: Renzi ha anticipato cosa avrebbe detto di lì a poco in conferenza stampa, Mattarella ha risposto con una proposta. Il capo dello Stato, che già da domani alle 10 potrebbe ricevere il dimissionario presidente del Consiglio, gli avrebbe ventilato l’ipotesi di inviare il governo alle Camere, per verificare la possibilità di un bis. Renzi è stato inamovibile: dimissioni irrevocabili, ma garanzia solo ed esclusivamente per l’approvazione della legge di stabilità. Da domani sarà dunque il presidente della Repubblica, considerato anche dall’opposizione un garante affidabile, a gestire la partita del ‘dopo’.
Per questo motivo stasera Mattarella avrà ascoltato con molto interesse le dichiarazioni dei protagonisti di entrambi gli schieramenti. A lui gli esponenti del centrodestra e i Cinque stelle hanno già fatto pervenire via stampa l’auspicio di elezioni anticipate, magari dopo un breve periodo per fare la legge elettorale. Ma è ancora il Pd a detenere il gruppo parlamentare più nutrito e resta dunque il Partito democratico, di cui Renzi resta al momento segretario, lo snodo decisivo. Stasera il leader Pd ha chiarito che davanti ad un risultato così netto tocca ai capi dell’opposizione “l’onere” di avanzare una proposta sulle modifiche all’Italicum. Parole che suonano come una sfida, davanti all’eterogeneità dei partiti di minoranza. Difficile comunque che qualsiasi intervento sarà fatto prima di fine gennaio o inizio febbraio, quando la Consulta si pronuncerà sull’Italicum. Il capo dello Stato, d’altra parte, ha già fatto trapelare nelle scorse settimane la sua contrarietà a sciogliere le Camere, senza una legge elettorale omogenea per Camera e Senato. Il primo problema che si pone, però, superato lo scoglio della manovra, è quale governo possa traghettare il Paese verso le elezioni, che a questo punto potrebbero avvenire non alla scadenza della legislatura nel 2018, ma già nella primavera 2017.
In tal senso, davanti all’inamovibilità di Renzi, Mattarella non potrà che aprire le consultazioni con i gruppi parlamentari ed individuare un presidente del Consiglio che abbia la maggior condivisione possibile. I nomi che girano sono sempre gli stessi delle scorse settimane: si va dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan (che farebbe anche da garante per i mercati e per il nodo delle banche) a Dario Franceschini, figura più politica che ha un nutrito drappello di parlamentari Pd. L’alternativa è un governo ‘del presidente‘, guidato da una figura istituzionale come il presidente del Senato Pietro Grasso. Uno snodo importante per capire con quale proposta il Pd si presenterà al Quirinale è la riunione della direzione del Pd, convocata per martedì. Sarà quello il momento per comprendere come cambieranno gli equilibri interni dopo la sconfitta referendaria. “La colpa è la sua”, diceva più di un dirigente stasera al Nazareno. “Ora non potrà più decidere da solo”, è la tesi non solo della minoranza Dem, che rivendica di aver rappresentato con il No una quota di elettori Pd, ma anche degli esponenti della maggioranza non di stretta fede renziana. Stasera, secondo quanto si apprende, l’orientamento di Renzi non sarebbe di lasciare la guida del partito. Anzi, i suoi già spingono perché si ricandidi al congresso, che sarà convocato forse nella direzione di martedì, per poi presentarsi alle elezioni politiche. Ma le percentuali della sconfitta, che registrerebbe picchi tra i giovani e al Sud, osserva più d’uno, rovinano non poco anche l’appeal del leader, ormai ex rottamatore.