Il presidente eletto ha risposto alle critiche arrivate da Pechino dopo la sua telefonata con la presidente di Taiwan: "Ci ha forse chiesto se fosse ok svalutare la loro moneta (rendendo difficile per le nostre imprese competere), tassare pesantemente i nostri prodotti nel loro Paese (gli Usa non tassano i suoi) o costruire un grande complesso militare nel mezzo del Mar cinese meridionale? Non credo!", ha scritto su Twitter
I toni conciliatori necessari a ricomporre lo strappo sono rimasti una pia illusione e le tensione tra Washington e Pechino sembra destinata ad aumentare. Donald Trump ha attaccato la Cina su Twitter criticando le politiche economiche e militari del Paese asiatico, e mostrando così di non aver assunto alcun tono conciliatorio dopo le condanne di Pechino alla sua telefonata con la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen. “La Cina ci ha forse chiesto se fosse ok svalutare la loro moneta (rendendo difficile per le nostre imprese competere), tassare pesantemente i nostri prodotti nel loro Paese (gli Usa non tassano i suoi) o costruire un grande complesso militare nel mezzo del Mar cinese meridionale? Non credo!”, ha scritto Trump su Twitter.
Pechino considera Taiwan una provincia ribelle in attesa della riunificazione, anche con la forza se necessario, e la telefonata di venerdì con Taipei è stata la prima da parte di un presidente eletto o di un presidente statunitense con un leader taiwanese da quando il presidente Jimmy Carter riconobbe il governo di Pechino come l’unico di tutta la Cina, e Taiwan parte di ‘una sola Cina’. Pechino ha presentato una protesta formale agli Usa sabato, affermando che il principio “una sola Cina” sia alla base delle relazioni bilaterali. Il vice presidente eletto ha definito “di cortesia” la telefonata, sminuendo la sua rilevanza politica.
In prima battuta Pechino ha bollato la telefonata a Tsai Ing-wen come “un piccolo trucco di Taiwan” e ha annunciato di aver depositato “rappresentazioni solenni” a “soggetti rilevanti” (“è facile capire chi sono i soggetti rilevanti”, ha risposto Lu a una specifica domanda di chiarimento) negli Stati Uniti: l’amministrazione Obama. Che è intervenuta sulla questione: “Gli Usa sono in contatto con la dirigenza cinese per ribadire che Washington resta aderente alla sua politica di “una sola Cina” (“one China“) dopo la telefonata del presidente eletto Donald Trump al Taiwan”, ha detto Josh Earnest, portavoce della Casa Bianca, nel suo briefing con la stampa.
Oggi il governo cinese ha nuovamente commentato la situazione, senza però voler accennare ai recenti tweet. Il portavoce del ministero degli Esteri, Lu Kang, ha messo in guardia Trump affermando che l’unico modo di mantenere l’attuale collaborazione tra i due Paesi sia che Washington rispetti il principio di “una sola Cina”. “Solo in questo modo possiamo garantire la continuità dello sviluppo della collaborazione di mutuo beneficio tra entrambe le parti”, ha detto in conferenza stampa. Non ha fornito dettagli ma ha aggiunto, a proposito della protesta formale, di ritenere che “la parte statunitense, incluso il team di transizione di Trump, abbia chiara la nostra posizione”.
Taiwan, intanto, getta acqua sul fuoco. Oggi la ministra del Consiglio affari della Cina continentale, Chang Hsiao-yueh, citata da Efe, ha affermato che la ricerca di migliori relazioni con gli Usa non va contro l’impegno di pace e stabilità nei legami con la Cina. Taiwan, ha aggiunto, non ha nessuna intenzione di tornare “all’antico sentiero di antagonismo” con Pechino e non si unirà a un Paese per attaccare l’altro. Un riferimento al fatto che Taipei non intende tornare sui passi di Chen Shui-bian, presidente taiwanese tra 2000 e 2008, che irrigidì le sue posizioni sino a parlare di due Paesi diversi e proporre l’ingresso della nazione Taiwan nella Nato. La chiamata tra Trump e Tsai, ha concluso Chang, non va considerata da Pechino nulla di eccezionale. Ieri, intanto, il segretario di Stato americano John Kerry ha invitato Trump a chiedere consiglio al Dipartimento di Stato, prima di parlare con i leader stranieri.