Economia

Referendum, dal Regno Unito agli Usa all’Italia puniti i governi dei Paesi in cui la crisi ha colpito di più i redditi

Il nostro Paese ha il primato negativo nella classifica McKinsey degli Stati sviluppati in cui è aumentata di più la quota di popolazione che sta peggio di genitori e nonni. Subito dietro Washington e Londra, dove il malcontento è sfociato nella vittoria di Trump e nella Brexit. La vera particolarità italiana è che da noi l'intervento pubblico non è stato in grado di mitigare il fenomeno, anzi l'ha esacerbato.

Italia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Olanda, Francia. E’ la classifica dei Paesi con la maggior quota di popolazione che ha visto i propri redditi scendere o rimanere invariati tra il 2005, prima dello scoppio della crisi, e il 2014. Con il senno di poi si può dire che quel grafico, pubblicato da McKinsey Global Institute in un rapporto sulle disuguaglianze nelle economie avanzate datato luglio 2016, abbia approssimato meglio di molti sondaggi gli umori degli elettorati da questa e dall’altra parte dell’Atlantico. Dalla Brexit al trionfo di Donald Trump, dalla gauche francese allo sbando fino alla pesante sconfitta, in Italia, del Sì per il quale l’intero governo ha fatto una campagna martellante, i risultati delle urne sono stati altrettanti schiaffi a chi è al timone negli Stati in cui la recessione ha peggiorato di più le condizioni di vita delle famiglie. E le tendenze prevalenti nelle capitali che andranno al voto nel 2017 sono sulla stessa linea.

“Il 65-70% dei nuclei ha visto i propri redditi diminuire o restare al palo” – Il rapporto, intitolato non a caso “Più poveri dei loro genitori?“, prende le mosse dal dibattito sull’arricchimento delle classi già benestanti aperto dal lavoro di Thomas Piketty ma si concentra su un aspetto che è stato meno approfondito: la situazione delle famiglie che hanno visto i loro redditi restare al palo o calare rispetto a quelli dei padri e dei nonni. Si tratta del “65-70% dei nuclei familiari dei Paesi avanzati, pari a 540-580 milioni di persone”, secondo McKinsey. Un quadro totalmente inedito, considerato che tra il 1993 e il 2005 solo il 2% delle famiglie, meno di 10 milioni di persone, aveva sperimentato lo stesso scivolamento.

Il primato negativo dell’Italia: le politiche pubbliche hanno peggiorato la situazione – E proprio l’Italia, secondo gli analisti della società di consulenza, ha il poco invidiabile primato negativo in questo campo: il 97% della popolazione – contro l’81% negli Usa e il 70% di Gran Bretagna e Olanda, seguite dal 63% della Francia – ricade nelle fasce che sono rimaste ferme al punto di partenza o sono scivolate più in basso rispetto al 2005 in termini di reddito di mercato. Ma la vera particolarità italiana è un’altra: da noi l’intervento pubblico non è stato in grado di mitigare questo fenomeno, anzi l’ha esacerbato. Infatti il crollo del reddito disponibile, quello al netto di tasse e trasferimenti statali, è stato ancora maggiore: 100%. A questo si sommano gli effetti dei cambiamenti demografici: invecchiamento della popolazione e nuclei familiari sempre più piccoli con meno adulti in età da lavoro. Seguono, in ordine di portata dell’impatto negativo, la crescita insufficiente del pil e i bassi ritorni sugli investimenti. Positivo invece, ma non abbastanza da rovesciare il risultato, l’effetto dei cambiamenti nel mercato del lavoro. Il risultato è che, come evidenziato pochi giorni fa anche dal rapporto annuale del Censis, le giovani generazioni sono ad alto rischio di ritrovarsi più povere dei loro genitori.

Negli Usa i trasferimenti statali hanno aumentato i redditi reali. Ma la percezione dei cittadini è diversa – Negli Usa, al contrario, gli stimoli fiscali e i trasferimenti alle famiglie si sono tradotti in un lieve aumento dei redditi disponibili. Ma questo non è bastato per cambiare la percezione dei cittadini statunitensi: stando a un sondaggio realizzato l’anno scorso sempre da McKinsey tra il 30 e il 40% ritiene che i propri redditi non siano aumentati e la metà di questi prevede che non aumenteranno in futuro. Percentuali simili a quelle registrate in Gran Bretagna e Francia, dove l’impatto positivo delle politiche pubbliche è stato molto più contenuto. In questi casi, dunque, l’impoverimento percepito ha contato più dei dati reali.

Brexit e Trump come risposta al disagio – Il passo che porta da questo disagio sociale, reale o percepito, al trionfo dei populismi di diverso colore e intensità è breve. Non a caso il rapporto prefigura “conseguenze sociali“, sottolineando come “quasi un terzo di coloro che sono convinti che non stanno facendo passi avanti ritengono che i loro figli e le generazione successiva avanzeranno più lentamente in futuro e esprimono opinioni negative sul commercio e l’immigrazione“. Ed ecco che al di là della Manica hanno prevalso i favorevoli all’uscita dall’Unione europea e qualche mese dopo, del tutto a sorpresa, oltreoceano ha trionfato il tycoon “anti establishment” e contrario al libero scambio.