Mettiamola così: i sostenitori di Matteo Renzi non si fidano del Movimento 5 Stelle e continuano a ripetere, prima del referendum e pure dopo la sonora sberla di domenica, che i grillini non sono una alternativa valida. I sostenitori dei pentastellati, invece, non si fidano di Renzi e ritengono il Pd del “ducetto di Rignano” – così lo chiamano – deleterio per il Paese e politicamente inaffidabile. Gli altri partitini non esistono. Siamo onesti. Matteo Salvini invoca elezioni il prima possibile solo per poter aumentare il numero di poltrone leghiste in Parlamento visto che alle elezioni 2013 riuscirono a occuparne ben poche. Renato Brunetta e Forza Italia – insieme ai residui sparsi di quello che fu il centrodestra – vogliono invece rimandare il momento del voto per il motivo opposto: perché divisi come sono oggi, non riusciranno mai a bissare il risultato inatteso che registrò Silvio Berlusconi nel 2013, quindi perderebbero sicuramente parecchie poltrone. La sfida è tra Pd e M5S. Tra Renzi e Di Maio o chi per lui. Il Paese è fratturato in due proprio perché ci sono questi due poli opposti. E il referendum ha mostrato chiaramente questa contrapposizione netta.
Leggendo i numeri credo che Renzi faccia bene a ritenere che nel 40% del Sì ci sia almeno un 25% di elettorato suo da poter contabilizzare, ma ne ha almeno un altro 10 forse addirittura 20% tra quanti hanno votato per il No. Forse anche di più. Perché tra chi non ritiene una alternativa il Movimento 5 Stelle molti considerano Renzi parimenti inadeguato e quindi non gli hanno concesso di stravolgere la Carta costituzionale. È questa la nuova maggioranza silenziosa. Quella che non ha, non vede, non trova, non si riconosce in nessuno schieramento politico. E non si fida di nessuno. E per quanto possa ritenere uno meno peggio dell’altro non gli permette di devastare il Paese.
Questo esito referendario, a mio avviso, ha il pregio di mostrare chiaramente la reazione dell’elettorato all’attuale situazione politica, priva ormai di partiti ideologici e basata esclusivamente su un materialismo poltronistico. Il giochino è rotto. L’ha spezzato Renzi, esagerando con le promesse, le menzogne, con la favoletta di un Paese bello e ricco che non esiste nella realtà. Complice il potere tutto che lo ha assecondato, mostrando chiaramente di essere schierato in suo favore anche quando invece avrebbe dovuto tutelare lo Stato, come il presidente della Repubblica: silente. Sempre. Complice la stampa nella sua quasi totalità che si è limitata a riportare supinamente la voce del padrone spingendosi a inventarsi vere e proprie notizie per screditare il nemico del capo (l’articolo de La Stampa sulla cyber propaganda M5S è forse il punto più basso raggiunto).
Renzi tornerà. Come ha fatto nel 2013, dopo aver perso le primarie con Bersani. Renzi tornerà e si giocherà tutto alle prossime politiche. Puntando a capitalizzare quel 25% che intravede – giustamente – nel Sì e a conquistare quel 10/20% che si è rifugiato nel No. La sfida starà tutta qui. M5S dovrà convincere questa parte d’Italia (età media 38/50 anni, professionisti, istruzione universitaria, reddito medio-alto) che sono affidabili e non sono diretti da nessuno salvo dal bene comune. Renzi, invece, dovrà dimostrare loro di aver perso il vizio di mentire. Potrebbe anche riuscirci. Del resto, come scrisse Machiavelli ne Il Principe, il popolo dimentica presto le bugie. Basta raccontargliene di nuove.