Il 7 dicembre uscirà The Last Guardian, l’attesissimo gioco di Fumito Ueda per PS4. Il titolo, già annunciato durante il lontano E3 del 2009, ha avuto uno sviluppo lunghissimo e decisamente travagliato… Dato che proprio qualche mese fa mi sono dedicato alla musica e soundesign per videogames, mi fa piacere dar voce al compositore Takeshi Furukawa, autore delle affascinanti musiche di The Last Guardian.
Furukawa mi racconta di essersi letteralmente innamorato della musica per film, ascoltando in particolare le note di John Williams in Jurassik Park. Musicista precocissimo (suonava già a tre anni) inizia lavorando come orchestratore per Star Trek: Enterprise subito dopo il diploma e The Last Guardian, rappresenta il suo primo lavoro solista per videogames.
Vista la faticosa genesi del progetto, gli chiedo se la lavorazione musicale sia stata altrettanto travagliata e chi sia stato il suo principale interlocutore in questa delicata fase creativa. Furukawa risponde che alla base di tutto c’è sicuramente il solido rapporto umano con Ueda-san, persona ispirata, colta e con le idee molto chiare. In The Last Guardian, mi dice, il regista ha voluto bilanciare in modo maniacale la presenza simultanea di input visivi, sonori e musicali (limitando persino il numero di note utilizzabili) al fine di dar vita a un gioco riflessivo, meditativo e soprattutto dotato di un’aura che la musica fosse in grado di far risplendere, secondo un equilibrio tutto orientale.
Ne approfitto per chiedergli quale sia stato il suo tasso di libertà artistica in una produzione così rigorosamente concepita. Il compositore ci tiene a precisare che oltre alle limitazioni estetiche imposte da Ueda-san, la sua musica ha dovuto fare i conti anche con restrizioni più canoniche legate all’interazione, ai tempi di gioco, alle immagini e ai suoni d’ambiente. Su questo punto è molto chiaro: se per un verso comporre con dei rigidi paletti tecnici e creativi è molto difficile, dall’altro questa modalità costringe l’autore ad uno sforzo intellettuale che può dare spesso luogo a soluzioni belle, originali e soprattutto funzionali, aspetto quest’ultimo, che per una colonna sonora è assolutamente fondamentale.
In virtù di questa sua precisazione, mi sorge spontaneo chiedergli come vive, da compositore, il fatto che la musica abbia in queste produzioni un ruolo strutturalmente ancillare. La strada proposta da Furukawa, è quella condivisa dagli autori più importanti del settore. Se un compositore deve sempre cercare di vivere positivamente l’idea di servire l’immagine e la narrazione, è altrettanto importante offrire al pubblico (ad esempio tramite il disco della colonna sonora) anche una versione più ricca e completa dei brani presenti nel gioco. Una doppia veste insomma, l’una più adatta all’esperienza di gioco e l’altra a una fruizione più autonoma.
A tale riguardo, gli chiedo cosa ne pensi del fatto che la musica per videogames abbia abbandonato progressivamente l’aspetto tematico o del leitmotiv, a fronte di composizioni magari più funzionali, ma (come lui stesso dirà più avanti) alquanto anonime. Furukawa imputa il problema all’avvento di quelle che lui definisce modern synth-hybrid scores, ma soprattutto alla crescente interattività dei videogames.
Nei giochi moderni, dice, il passare da una situazione all’altra in modo frenetico, rende difficile l’uso di melodie e temi articolati che risulterebbero poco adatti a essere spezzati e troncati in cambi di scenario che, nei giochi, sono solo parzialmente prevedibili. Semplificando, se unire due brani non melodici è relativamente semplice, effettuare la stessa operazione con musiche tematiche rischia di essere semplicemente poco musicale. Furukawa, ci tiene a precisare inoltre come la maggior parte dei produttori odierni non abbia una visione artistica propria (né tanto meno filosofica) attraverso la quale fertilizzare l’immaginazione e la creatività dei compositori. La maggior parte delle produzioni, ci tiene a sottolineare, richiede apertamente musiche anonime o cloni di brani noti (magari anch’essi anonimi) con l’effetto di inondare il mercato di composizioni seriali il cui punto di forza, è appunto un’adattabile genericità.
A questo punto vorrei indagare su quale metodo abbia usato per comporre le musiche di The Last Guardian e se egli preferisca lavorare con sistemi tradizionali o moderni. Furukawa risponde che la sua quotidiana interazione con Ueda-san e Tsubasa Ito (responsabile principale del suono) si è svolta via internet e che sia la composizione che il mock-up della colonna sonora, sono stati realizzati al computer nel suo studio.
Poi, solo in un secondo momento, le parti orchestrali sono state sostituite con incisioni effettuate da musicisti in carne e ossa. Il compositore confessa di essere un fan del suono acustico, soprattutto perché lo riporta alla sua infanzia, alle emozioni ataviche suscitategli dal suono dei film con i quali è cresciuto. In tal senso, afferma di essersi tenuto alla larga sia da sonorità elettroniche, che da soluzioni musicali sperimentali, prediligendo un contesto tonale e consonante, nonostante alcune incursioni in ambito modale ed impressionista (ove il gioco lo richiedesse).
Prima di salutarci, gli chiedo se voglia dare qualche suggerimento ai giovani compositori che si affacciano al mondo delle colonne sonore (e non solo). Furukawa mi risponde che la musica, quando è grande, trascende i confini sia che si tratti di composizioni per giochi, film o concerti. Inoltre, sebbene egli consideri inevitabile il consueto invito a investire decine di migliaia di ore nel perfezionare il proprio mestiere, la cosa maggiormente determinante a suo avviso, è quella di lavorare all’elaborazione di un proprio stile compositivo non solo attraverso la tecnica musicale.
Ciò che è assolutamente fondamentale, precisa Furukawa, è arricchire la propria cultura e conoscenza a 360 gradi, consapevoli del fatto che la musica riflette come uno specchio, l’animo del suo creatore. Le persone che conducono vite interessanti ed originali, possiederanno inevitabilmente una tavolozza emotiva con molti più colori e sfumature cui attingere. La musica di coloro che si radicano eccessivamente nella mondanità conclude, suonerà sempre banale, generica e superficiale.