C’è tempo ancora un mese. Il prossimo 31 dicembre scattano le prime prescrizioni per chi si è visto decurtare la pensione per effetto del blocco delle rivalutazioni deciso con la legge Fornero giudicato poi incostituzionale. Dopo la fine del 2016 si potrà ancora ricorrere in giudizio per riottenere le somme non pagate ma si ridurranno via via i mesi per cui si potrà chiedere la restituzione. Lo stop alle rivalutazioni fu deciso dal governo Monti relativamente al 2012 e il 2013 e riguardava le pensioni superiori a 1.450 euro lordi al mese (1.088 euro netti) per cui gli assegni non venivano più adeguati all’inflazione con un risparmio per le casse dello Stato di oltre 10 miliardi di euro nel biennio. In quegli anni infatti l’inflazione era sensibilmente più alta rispetto agli attuali valori prossimi allo zero. Nel 2012 il costo della vita era risultato in aumento del 3%, l’anno seguente dell’1,2%.

L’Istat ha calcolato che il congelamento dell’assegno ha colpito circa 6 milioni di pensionati, il 36% del totale. Nell’aprile del 2015 la Corte Costituzionale giudica però illegittimo il mancato adeguamento al costo della vita. A quel punto il governo Renzi ha provato a metterci una (piccola) toppa con un decreto del ministro Poletti che riconosce un bonus ai pensionati colpiti dal blocco. La parziale restituzione riguarda però solo le pensioni fino a 3mila euro lordi per un importo medio di soli 500 euro. In questo modo lo Stato restituisce complessivamente circa il 12% dei mancati pagamenti. Alcuni esempi chiariscono meglio le cifre in gioco per i singoli pensionati. Un pensionato che percepiva 1.500 euro lordi al mese ha perso tra il 2012 e il 2013 poco meno di 1.920 euro e si è visto restituire con il decreto Poletti circa 645 euro. Mancano all’appello 1.275 euro. Un assegno di 2.000 euro lordi ha subito una perdita nel biennio di 4.062 euro incassando un bonus di 437 euro. Chi aveva una pensione di 3.000 euro lordi ha perso più di 5.700 euro e senza ricevere alcun ristoro. Si consideri per di più che questi calcoli sono effettuati senza considerare il cosiddetto effetto trascinamento, ossia senza tenere conto che le rivalutazioni successive al 2013 sarebbero dovute avvenire su importi più alti.

Visto anche il trattamento non particolarmente generoso, le norme di Poletti finiscono a loro volta nel mirino di pensionati e associazioni come CodaconsAdusbef per un nuovo sospetto di incostituzionalità. Partono i ricorsi davanti al Tar e ai giudici ordinari. Il prossimo 13 dicembre il Tar dovrebbe tenere l’ultima udienza per decidere se rimettere la questione alla Corte Costituzionale. In caso affermativo la Corte si dovrà nuovamente pronunciare sulla vicenda e, se anche la legge Poletti venisse bocciata, per i pensionati che hanno fatto ricorso si aprirebbe la prospettiva dei rimborsi.

Secondo l’avvocato del Codacons Marta Perugi ci sono ragionevoli possibilità che questo avvenga anche alla luce dell’ingente numero di ricorsi che sono stati presentati in questi mesi. Per chi sinora non si è ancora mosso e previa iscrizione all’associazione il Codacons mette a disposizione i moduli del ricorso (alla Corte dei Conti per gli ex dipendenti pubblici e al giudice del Lavoro per gli ex dipendenti privati) da presentare ad un legale di fiducia per l’assistenza legale necessaria (sono disponibili numerosi avvocati dell’associazione). Con una spesa di poco superiore ai 120 euro l’associazione Rimborsopensioni.it assicura invece l’assistenza lungo tutti i gradi del giudizio. Sul sito è possibile scoprire la cifra che si potrebbe recuperare in base all’assegno pensionistico che si percepisce.

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