Non solo all’interno dell’ospedale di Saronno in tanti sapevano del metodo di Leonardo Cazzaniga, ma anche qualche operatore del 118 aveva sentito parlare del protocollo del medico anestesista, accusato insieme all’amante Laura Taroni di essere un assassino di almeno quattro pazienti anziani e fragili e del marito di lei. A metterlo a verbale è uno degli angeli di questa storia di morte: l’infermiere Iliescu Radu che, insieme a Jessica Piras e Clelia Leto aveva denunciato alla coordinatrice infermieristica Raffaella Banfi le “terapie eccessive” del medico. Radu dopo la morte di Angelo Lauria, 69 anni, malato di tumore arrivato al pronto soccorso in condizioni gravi “ma non in imminente pericolo di vita”, aveva segnalato alla direzione sanitaria che Cazzaniga aveva “messo in uso il suo protocollo” e il paziente era subito entrato in coma. Radu aveva poi raccontato alla Piras, che “si era rifiutato di somministrare i farmaci prescritti da Cazzaniga, che aveva discusso con lui sulla terapia” e che gli aveva imposto “di togliere la sua firma dal verbale” in modo che risultasse chiaramente che i farmaci li aveva somministrati l’anestesista.
Ebbene il gip di Busto Arsizio, Luca Labianca, nell’elencare le tante testimonianze di coloro che sapevano come il camice bianco amasse dire: “Con questo paziente dispiego le mie ali dell’angelo della morte” riporta anche questa dichiarazione di Radu: “… ricordo che alcune volte ho sentito Cazzaniga dire al personale del 118 che telefonava per preannunciare l’arrivo di un paziente in codice giallo o in codice rosso: ‘Va bene, inviatelo e io applicherò il mio protocollo‘”. Quindi chi altro sapeva? Nel registro degli indagati, allo stato, sono iscritti tutti coloro che all’interno della struttura ospedaliera non fecero nulla per fermare Cazzaniga e la Taroni. Il pm di Busto Cristina Ria, contesta a undici medici omessa denuncia, favoreggiamento e falso ideologico. Non è chiaro se l’inchiesta condotta dai carabinieri possa andare oltre le mura dell’ospedale: al vaglio degli inquirenti ci sono 80 cartelle cliniche ed è impossibile capire se altri personaggi entreranno nell’inchiesta perché sospettati di aver chiuso gli occhi e le orecchie davanti a quel medico “aggressivo e a volte volgare” che “diceva di essere Dio”.
Anche nel caso di Massimo Guerra, il marito della Taroni morto il 30 giugno 2013, “avvelenato” dai farmaci che gli venivano dati dalla donna di cui si fidava anche nel caffè e nel pesto, il personale del 118 aveva capito che c’era qualcosa di anomalo. È il 17 aprile del 2012 e l’uomo, convinto dalla moglie di essere diabetico e sottoposto a mix di farmaci di cui non aveva bisogna, si sente male. La Taroni chiama l’ambulanza: spiega quali sono le condizioni del marito, elenca gli altissimi valori della glicemia e quanta insulina gli ha dato. Vuole che l’uomo venga ricoverato a Saronno, ma viene deciso l’invio all’ospedale di Como.
A parlare, dopo, sono due operatori del 118: “Ascolta era per avvisarti che non l’ho mandata poi a Saronno”, “ah è vero … il signore … è vero che poi non ti ho più sentito, l’ipoglicemia”, “infatti è andato in Sant’Anna perché comunque la fine questo qua dopo sei fiale di 33% è arrivato a arrivato a 60 di glicemia”, “Beh ma quanta gliene ha fatta?!”, “Lei dice 25 unità! Io non lo so … lui dopo in un primo momento è diventato cosciente poi era ancora in stato soporoso e alla fine”, “e ma chissà quanta metformina ha preso poi, forse”, “infatti, infatti … guarda gli infermieri e i colleghi in casa non vanno mai bene!“, “No è il come il medico in posto”, “ah guarda”, “è sempre un fattore di rischio!”, “poi soprattutto i volontari, peggio ancora. Va bene dai lasciamo perdere”. “La telefonata – scrive il pm nella richiesta di arresto per gli indagati – fornisce elementi indizianti perché i due, ironizzando sulla vicenda, precisavano che erano state le somministrazioni d’insulina effettuate da Laura Taroni a provocare la grave ipoglicemia“.