Oltre 100 ore di straordinari al mese, circa tre volte il limite consentito dalle leggi cinesi, stipendi da fame e condizioni ambientali insalubri. E’ quanto avverrebbe nelle fabbriche cinesi di giocattoli, secondo un rapporto di China Labor Watch. Le investigazioni – condotte sotto copertura dal team dell’ong americana e corredata da prove fotografiche – hanno coinvolto quattro impianti utilizzati da note multinazionali per produrre giochi per bambini, tra cui Disney, Mattel, Fisher-Price e McDonald’s.

Negli stabilimenti della Foshan Nanhai Diecast Company, in cui vengono assemblati il trenino Thomas (Fisher-Price), le macchinine Hot Wheels (Mattel), i Guardiani della Galassia (Hasbro) e altri articoli destinati ai più piccoli, lo stipendio mensile per un operaio – compresi gli straordinari, tutte le indennità e le detrazioni – è di 214 euro, molto inferiore al salario medio percepito nelle città cinesi di 840 euro. Stando agli investigatori, molti impiegati nella linea di produzione lavorerebbero a stretto contatto con acetato di isoamile, una sostanza chimica comunemente conosciuta come olio di banana, utilizzata per ammorbidire e sciogliere la plastica, che oltre ad avere un cattivo odore può provocare vertigini e persino la morte, se inalata in grande quantità.

La paga troppo bassa è una costante riscontrata anche in una fabbrica di Chang’an specializzata in bambole e Barbie. Qui lavorano 4200 persone per 1,2 euro l’ora; il salario minimo è di 220 euro, mentre il massimo percepibile sommando gli extra è di 396 euro. Secondo quanto raccontato dai lavoratori, nei periodi più convulsi, specie in estate, gli straordinari superano le 100 ore mensili, quando la legge cinese ne prevederebbe massimo 36.

Situazione simile nell’impianto della Combine Will, a Dongguang, dove in 2700 sono impiegati nella produzione di giocattoli per le confezioni dell’Happy Meal (il pasto creato da McDonald’s appositamente per i bambini), pupazzi di Hello Kitty e matite ispirate ai personaggi della DreamWorks, così come presso lo stabilimento della Shenzhen Wei Lee Fung Plastic Products Co., da cui si riforniscono Disney e Fisher Price. Gli stipendi sono rispettivamente di 1,2 e 1,3 euro l’ora. Uno degli infiltrati di CLW ha affermato di essere stato persino costretto a firmare un documento in cui si dichiarava disposto ad accettare qualsiasi punizione da parte della società.

“Ogni giorno gli operai impiegati nelle fabbriche di giocattoli sono sottoposti a un pesante carico di lavoro, in cambio di paghe estremamente basse. Ma anche loro hanno dei figli”, spiega Li Qiang, direttore esecutivo dell’ong che si batte per i diritti sul lavoro. “Chi guadagna producendo giocattoli lo fa opprimendo gli interessi dei lavoratori, e questa loro colpa deve essere sottoposta a condanna pubblica e morale. Non possiamo tollerare che i sogni dei bambini si basino sugli incubi dei lavoratori”.

Le accuse sono state prese molto seriamente dall’ICTI (International Council of Toy Industries), incaricata di promuovere gli standard di sicurezza internazionale dei giocattoli, che ha promesso “investigazioni approfondite”, pur riconoscendo i propri limiti. “La realtà è che, in generale, la stragrande maggioranza delle fabbriche opera oltre i confini della legge cinese, e i limiti legali sono quasi universalmente ignorati,” ha dichiarato Mark Robertson, direttore della ICTI Care Foundation. “Noi siamo per la trasparenza. Vogliamo sapere quante ore si lavora nelle fabbriche, in modo da poter essere in grado di assicurare che ogni minuto di lavoro venga retribuito”.

Sullo stesso spartito i comunicati rilasciati dalle aziende coinvolte. McDonald’s e Mattel hanno fatto sapere di essere intenzionate a migliorare gli standard ambientali e di lavoro presso i propri fornitori, in tandem con la Fondazione.

L’inchiesta di China Labor Watch arriva in un momento particolarmente delicato per le multinazionali operanti in Cina. Lo scorso mese la cessione delle attività cinesi di Coca Cola, Danone e Sony a partner locali ha innescato una nuova ondata di scioperi, in aumento del 20 per cento nel primo semestre del 2016. Il timore è che, per rendere redditivi gli impianti, i nuovi padroni decidano di avviare ristrutturazioni con tagli del personale e abbassamento degli stipendi. Se poi i nuovi padroni sono cinesi, le condizioni di lavoro rischiano di diventare anche peggiori che nelle ditte straniere.

di Alessandra Colarizi

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