L'agenzia mondiale antidoping non cambia di una virgola le accuse contro lo sport russo e il Cremlino: tra il 2011 e il 2015 ha sistematicamente coperto i suoi atleti, sia di sport invernali che estivi e anche gli atleti paralimpici, tramando una vera e propria “cospirazione istituzionale” grazie al supporto dei servizi segreti, che ha portato un “insabbiamento a tutti i livelli istituzionali per favorire il conseguimento dei migliori risultati”
Oltre mille atleti russi, appartenenti a 30 discipline tra cui il calcio, sono stati coinvolti in un vero e proprio programma di “doping di Stato”. La conclusione del report della Wada, l’Agenzia mondiale antidoping, affidato a una commissione indipendente guidata dall’avvocato canadese Richard McLaren, conferma in toto le ricostruzioni anticipate a luglio e le prime rivelazioni dello scorso novembre. Tra il 2011 e il 2015, la Russia ha sistematicamente coperto i suoi atleti, sia di sport invernali che estivi e anche gli atleti paralimpici, tramando una vera e propria “cospirazione istituzionale” grazie al supporto dei servizi segreti, che ha portato un “insabbiamento a tutti i livelli istituzionali per favorire il conseguimento dei migliori risultati”. Un ricorso alle sostanze dopanti “senza precedenti nella storia dello sport”, si afferma nelle oltre 150 pagine del report (qui l’integrale). Accuse durissime, subito minimizzate da Mosca: “Per ora non c’è nulla di nuovo. Migliaia di sportivi non identificati, delle lettere, qualche testimone”, ha affermato su Twitter il presidente della commissione Sport della Duma Mikhail Degtiariov.
Una prova muscolare figlia dell’inganno, almeno secondo la Wada. Che conferma il coinvolgimento dei servizi segreti nell’architettare il doping di Stato. La FSB, la struttura erede del KGB, viene citata 46 volte nelle 151 pagine. E un ruolo preminente lo avrebbe svolto l’agente Blokhin, di cui ilfattoquotidiano.it aveva ampiamente scritto un anno fa, impegnato nella sostituzione o manomissione dei campioni di urina. Il tutto attraverso un buco ricavato nel muro del laboratorio antidoping attrezzato a Sochi, la cui piantina è stata anche riprodotta nel report. Alcune metodologie usate, tuttavia, sono state facilmente smascherate dalla Wada, anche grazie alle ammissioni della ‘gola profonda’ Grigory Rodchenkov, ex capo dell’antidoping di Mosca, il quale aveva reso pubblici numerosi dettagli al New York Times nel mese di maggio, raccontando di come il doping venisse somministrato anche attraverso dei ‘cocktail’ a base di Chivas e Martini. Uno dei casi più clamorosi finora inediti è invece quello riguardante due giocatrici di hockey sul ghiaccio. La rianalisi dei loro campioni ha portato a scoprire che l’urina contenuta nelle provette avesse un dna maschile. Secondo la ricostruzione della Wada, inoltre, i test di quattro vincitori di una medaglia d’oro a Sochi risultano illeggibili, mentre almeno altri 12 campioni di atleti arrivati sul podio sarebbero stati chiaramente manomessi. Una pratica che, afferma McLaren, era diventata una regola nel laboratorio moscovita per quanto riguarda l’élite dello sport russo. Tanto da costruire una banca delle urine pulite nella capitale.
Adesso la palla al Cio. Già giovedì, il presidente Thomas Bach aveva anticipato che il rapporto McLaren verrà analizzato da due ulteriori commissioni indipendenti. Al termine della loro analisi, il Cio deciderà quali misure adottare. “Abbiamo intrapreso in anticipo un lavoro preparatorio – ha affermato Bach – Ma se mi chiedete la mia opinione personale, chiaramente non mi piacerebbe vedere di nuovo in gara atleti che hanno fatto parte di un tale sistema di manipolazione”. Secca la reazione, invece, del Comitato paralimpico internazionale che ha descritto i risultati come “senza precedenti” e capaci di “colpire al cuore l’integrità e l’etica dello sport”. Ha annunciato “ulteriori provvedimenti” anche la Iaaf, la federazione internazionale di atletica, i cui ex vertici sono a sua volta stati travolti da un’inchiesta legata alla corruzione e alla copertura di atleti dopati.