In ogni caso non di accessori si tratta, ma del vero libretto d’uso del Foia, quello che in definitiva può mettere in moto il meccanismo virtuoso della democrazia civica partecipata o suggellarne la morte in culla, decretando la sua definitiva collocazione tra gli arnesi difettosi di una “burocrazia difensiva” che prevale ancora e sempre sul diritto a conoscere dei cittadini. Anac ha predisposto due schemi di linee guida a consultazione pubblica. Quella sul primo, relativo alla definizione delle “esclusioni e dei limiti all’accesso civico” si è conclusa il 28 novembre, la seconda, relativa gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione è in corso e terminerà il 14 dicembre. Il 23, come detto, entrambe dovranno trovare una forma definitiva che accoglie o rigetta osservazioni e proposte di modifica giunti da tutti i soggetti interessati. E sono molte, fa sapere la stessa Anac: solo sul primo fronte ne sono giunte una quarantina relative a oltre 100 punti.
Critiche sono piovute dalle associazioni che due anni fa sono riuscite a imporre al governo Renzi di instradare una legge d’ispirazione anglosassone per poi rincorrere il legislatore sui tanti difetti emersi nel corso della sua travagliata gestazione. Restano, nei testi definitivi, molti punti deboli rilevati allora dai promotori, dal Consiglio di Stato, dall’Anac e dal Parlamento: la genericità e l’ampiezza delle eccezioni al principio generale della full disclosure (sicurezza, difesa, relazioni internazionali, politica e stabilità finanziaria ed economica…), la mancanza di sanzioni per le amministrazioni pubbliche inadempienti (pur richieste dalla norma di delega), l’esclusione di tutti gli organi costituzionali (le Camere, il Quirinale, Consulta etc), i costi per il ricorso al Tar in caso di diniego (500 euro) e altri ancora. Ma questa è già storia.