Pisa-Bari si giocherà: la regolarità della Serie B pare garantita. Alla fine, dopo mesi estenuanti di trattative, acquirenti fantasma, proteste, stipendi non pagati, partite giocate a porte a chiuse, minacce di ritiro, la società toscana ha trovato un nuovo proprietario, Giuseppe Corrado. Quello vecchio, Fabio Petroni, “mister Terravision”, a luglio era finito agli arresti domiciliari, con tanto di sequestro dei beni, e da allora non era più stato in grado di provvedere alla gestione del club. Lasciando allo sbando i nerazzurri allenati da Gennaro Gattuso e spalancando scenari apocalittici per tutto il campionato. Adesso il peggio sembra scongiurato, salvo ulteriori colpi di scena (si attende la firma sul contratto di cessione definitiva). Ma la vicenda del Pisa – così diversa e così simile a quella recente del Parma – dimostra che il sistema calcio italiano non è ancora al sicuro.
DA PETRONI A CORRADO – Già nello scorso campionato di Lega Pro i nerazzurri – che avevano conquistato la promozione ai playoff contro il Foggia – avevano attraversato una tempesta societaria. Allora la lotta era stata fra i due soci Fabrizio Lucchesi e Fabio Petroni, che si contendevano la squadra. A spuntarla era stato il secondo, che aveva garantito l’iscrizione al campionato e anche la permanenza di Gattuso, per la gioia dei tifosi. A luglio, però, l’imprevisto che ha cambiato completamente le carte in tavola: Petroni, ex presidente della compagnia di bus Terravision, è finito agli arresti domiciliari con l’accusa di bancarotta fraudolenta e sequestro preventivo dei conti correnti. Così anche il Pisa calcio si è ritrovato senza soldi.
All’inizio la squadra vola in classifica come per miracolo, poi crolla travolta dalle difficoltà: la società paga gli stipendi (per non incorrere nelle sanzioni) ma non contributi, bollette e collaboratori; la squadra gioca a porte chiuse perché il club non è in grado di pagare i lavori di adeguamento allo stadio Garibaldi, mentre le giovanili si allenano ai giardinetti comunali. Petroni dovrebbe vendere, ma un primo acquirente (un fantomatico fondo di Dubai) si rivela inaffidabile, mentre col secondo (la cordata di Corrado) le trattative vanno per le lunghe. Lo stesso presidente della Lega Serie B, Andrea Abodi, sostiene come può il club e si fa carico dell’accordo. La posta in palio è troppo alta: c’è il rischio che una squadra si ritiri a dicembre, minando la regolarità dell’intero campionato. Negli scorsi giorni i tifosi disperati arrivano persino a minacciare di impedire la partita contro il Bari, in caso di mancata cessione. Alla fine Petroni accetta le condizioni di vendita: Corrado verserà 1,8 milioni per il titolo sportivo (più 3,5 milioni di eventuali bonus in caso di futura promozione in Serie A), facendosi carico dei debiti.
PARAMETRI INSUFFICIENTI – Tutto è bene quel che finisce bene, insomma. Ma resta una domanda: come è stato possibile tutto ciò? “Mai più casi Parma”, aveva giurato a marzo 2015 il presidente della Figc, Carlo Tavecchio. Eppure la vicenda del Pisa ricorda molto da vicino quanto accaduto in Serie A due stagioni fa, con una squadra a rischio fallimento nel bel mezzo del campionato. All’epoca la Federcalcio aveva anche approvato nuovi, severissimi criteri per la valutazione della solidità delle società. In realtà entreranno in vigore solo il prossimo settembre, ma anche se ci fossero stati a giugno scorso non sarebbero serviti ad evitare il disastro. Al momento dell’iscrizione al campionato, il Pisa rispettava tutti i parametri Covisoc (l’organo di controllo finanziario della Figc). Un proprietario solido e solvente ce l’aveva, ma l’ha perso a causa di guai giudiziari a campionato in corso. Siamo di fronte a un caso limite che non ha precedenti, ma non è detto che non abbia analoghi in futuro.
LA SOLUZIONE C’È, MA È IMPOSSIBILE – La storia dimostra che il sistema calcio italiano non è ancora al sicuro: non esiste certezza che una squadra arrivi alla fine del campionato, a prescindere da quello che succede alla sua proprietà. I parametri non assicurano che una società non si ritrovi a metà stagione senza soldi per pagare calciatori, staff e trasferte; la fideiussione obbligatoria per l’iscrizione (350mila euro in Lega Pro, 800mila in Serie B) è insufficiente e comunque può essere riscossa solo per debiti verso terzi. Una soluzione, in realtà, ci sarebbe anche: ogni club a inizio campionato dovrebbe depositare una fideiussione dell’importo pari ai costi di ordinaria gestione per un anno. Circa 3-4 milioni di euro in Lega Pro, 7-8 in Serie B (in Serie A la questione è meno urgente perché i soldi dei diritti tv in mano alla Lega rappresentano un salvagente di emergenza). Ma la strada non è praticabile: nelle categorie inferiori la maggior parte delle società, alle prese con la crisi, fanno già grande fatica a trovare i soldi per una fideiussione irrisoria da poche centinaia di migliaia di euro. Con un obbligo così oneroso, le squadre in grado di iscriversi al campionato si conterebbero sulle dita di una mano. Così non resta che sperare che alla fine tutto vada bene, come successo per il Pisa. La società è stata venduta, la Serie B è salva. Ma non si parli di lieto fine.