Quello di Geert Wilders è stato un capolavoro: farsi giudicare colpevole per un reato di opinione, senza la scocciatura di una sanzione pecuniaria, così come invece aveva chiesto l’accusa. E riuscire, allo stesso tempo, a ridicolizzare il sistema legale olandese, passando all’incasso della succulenta dote elettorale offerta – gentilmente – dalla sentenza arrivata ieri pomeriggio.
Dal 9 dicembre, quindi, Geertje è ufficialmente un pregiudicato ma politicamente più forte che mai. Da Twitter, il suo palco preferito, ha urlato contro i giudici, contro lo Stato, contro l’aggressione alle idee di quasi la metà degli olandesi (almeno cosi dice lui). In Italia, il tono delle sue invettive sarebbe poco più di un brusio ma l’Olanda è un altro Paese e nonostante la polarizzazione degli ultimi anni, le sparate a pallettoni sullo Stato non sono ancora metabolizzate con facilità, come da noi.
Sicuramente quel “Minder, minder, minder marokkanen“ (“Meno, meno, meno marocchini”) pronunciato poco più di due anni fa con calcolata scaltrezza è stato il più azzeccato investimento elettorale che potesse fare: il procedimento, durato due mesi, nonostante l’attesa di un anno per la prima udienza, è stato paragonato ai grandi processi per la libertà d’espressione, come quelli a Brigitte Bardot e Oriana Fallaci. Molti, hanno addirittura azzardato che i due mesi di udienze – alle quali Geertje si è rifiutato di prendere parte – fossero un banco di prova per la democrazia olandese: si vedrà, hanno ripetuto commentatori e giornalisti nei Paesi Bassi, fino a che punto il nostro ordinamento tutela la libertà di espressione.
Purtroppo l’uscita di Wilders ha poco a che vedere con le legittime opinioni: il Crociato d’Olanda non si è mai assunto le responsabilità delle sue parole, ma ha cercato di manipolarne di volta in volta il significato adattandolo alla sua campagna elettorale permanente. Una giorno ha spiegato che il “meno meno marocchini” non si riferiva ai nordafricani che già vivono nei Paesi Bassi “ma a coloro che emigrano dal Marocco”; un altro a olandesi di origine marocchina, criminali e pregiudicati; ora se la prende con i giudici che, dice, “mi hanno condannato perché considerano i marocchini una razza“. In realtà, il tribunale ha spiegato chiaramente che il famoso discorso è stata un’uscita preparata e probabilmente pensata nella speranza, finalmente, di poter raccogliere una sentenza di condanna. Con l’aggravante di aver “sdoganato” nel mainstream l’odio contro un singolo gruppo etnico: fino a oggi il nemico era un generico “islam”, ora è una minoranza riconoscibile, quella marocchina (in passato era toccato anche a turchi, bulgari, romeni e ucraini)
Se a questo puntava Geertje, allora il risultato è stato centrato in pieno: adesso è vittima dell’establishment, vittima dell’Islam – che lo costringe a vivere sotto scorta per 24h al giorno – vittima del tribunale che odia il PVV, sostenuto solo dai suoi elettori. Sarà un segno dei tempi ma questo è il primo partito d’Olanda, oggi: un movimento senza iscritti, senza democrazia interna, con un programma presentato su un foglio A4 che alimenta paranoie, frustrazioni e razzismo sfruttando, per la propaganda, ogni palco che lo spazio pubblico offre.