Sto avendo scambi con alcuni giovani su questioni di comunicazione. Molto interessante. Io parlo di messaggio e loro di media. E infatti, non ci capiamo.
Probabilmente non hanno tutti i torti. Parlano di visualizzazioni, di numero di “click”, di “stats”, di “visual”. Ogni cosa che fai sulla rete genera un certo numero di contatti. Questo, nella loro visione ed esperienza, sembra prescindere dal contenuto, dunque dal motivo di quei contatti. In pratica: se sul francobollino che poi apparirà in rete, si scrive “ciao” o “vota sì” o “vabbè” o “passami il sale”, è uguale, non cambia nulla: una certa quantità di persone lo cliccherà, generando la comunicazione auspicata. Una schermata di “insights” ci dirà poi quanti, da dove, con che profilo, etc.
Io resto basito. Dunque cosa scrivere in quella comunicazione non conta. Il contenuto non conta. Il mondo che sta dietro quei contenuti, non interessa. Penso a un esperto di comunicazione, che un giorno mi disse cosa dovevo fare per avere velocemente migliaia di “like”. Tanti fanno così. Solo che quel legame, quell’apprezzamento, non nasce da qualcosa di concreto, un concetto condiviso, una “comunione” ma solo dall’esposizione quantitativa in rete. Dunque non ha peso, è freddo, non ha valore, non generato da nulla non genera nulla. Mi viene anche in mente un certo modo di fare politica oggi, in cui la modalità (rapidi, secchi, senza indugio) conta più del pensiero e della sua causalità (cosa, con che effetti, che portano dove, che richiamano quali ispirazioni). Forse è anche questo il motivo per cui i sondaggi non ci pigliano più e poi qualche politico si trova col culo per terra.
Ma è normale tutto questo? Qualcuno potrebbe dire di sì, che sono io a non capire, che la rete ha cambiato le regole della comunicazione. Me lo disse un giorno Gianroberto Casaleggio, in uno di quei momenti in cui, seduti nella sua stanza a discorrere, smettevo di seguirlo.
Eppure, anche in televisione lo spot genera una serie di contatti, per certo. Ma il contenuto dello spot non è un accessorio! E sto parlando di pubblicità, figuriamoci nella comunicazione di contenuti! Altrimenti sarebbe come a dire che quando ti parlo non importa cosa dico, conta solo che ti parlo. Parole, suoni, e basta…, poi cosa vogliano dire è irrilevante.
Il famoso concetto di Marshall MacLuhan (1911-1980) “il media è il messaggio”, pronunciato prima di internet, si rivela dunque oggi in tutta la sua cataclismica evidenza. Ma io, che sostenevo il valore del “local” quando tutto il mondo andava verso il “global” (e come vediamo oggi, avevo assai ragione), o che pensavo alla comunicazione virale quando ancora mi chiedevano un’intervista col Direttore del Corriere (e avevo di nuovo ragione), oggi sostengo che si sbagliano. Il significato era e resta dirimente, fa la differenza, perché implica una responsabilità: “Io sono quello che sostiene queste cose, dunque diverso da chi sostiene cose opposte”. Pensa se Renzi si esprimesse così…
L’eccesso di fede nel mezzo è un abbaglio, un miraggio, e chi lo segue, prima o dopo, si troverà col culo per terra. “Passami il sale”, quando te lo dico, vuol dire “passami il sale”. Altrimenti resterà tutto senza sapore. Sciapo.