Inflazione sempre più galoppante e isolamento all’interno del proprio stesso continente. E’ il presente del Venezuela di Nicolas Maduro, sospeso a tempo indeterminato dal Mercosur, il mercato comune dell’America Latina, dove rimane con diritto di parola ma non di voto. Una decisione presa ufficialmente per “inadempienze su accordi economici, sui diritti umani e l’immigrazione alla base del gruppo”, ma che in realtà cela un altro obiettivo. Liberarsi di un alleato ‘scomodo’, per la sua grave crisi economica, che avrebbe frenato vari accordi commerciali, tra cui la negoziazione del trattato di libero commercio con l’Unione Europea.
La sospensione non produrrà sanzioni a carico del Venezuela, ma lo terrà fuori da riunioni e negoziazioni. Anche se il ministro degli esteri venezuelano, Delcy Rodriguez, ha bollato il provvedimento come un colpo di Stato, in realtà la misura non è arrivata inaspettata. Lo scorso settembre infatti i paesi fondatori del Mercosur (Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay) avevano comunicato a Caracas che aveva tempo fino all’1 dicembre per adempiere agli obblighi assunti con il Protocollo di adesione. Per evitare la sospensione avrebbe dovuto approvare in meno di tre mesi 112 risoluzioni e più di 40 dei trattati internazionali che regolano il funzionamento del Mercosur, e che il Venezuela non ha mai applicato da quando vi è entrato a far parte nel 2012. Allo stato attuale il Venezuela ha invece solo il 30 per cento delle leggi adeguate alle norme del Mercosur, ma non è l’unico a essere stato negligente. Anche gli altri paesi membri hanno adeguato solo il 60 per cento delle loro norme interne.
La decisione ha quindi radici più che altro economiche e politiche. Finora infatti il governo di Maduro era un impedimento politico alla negoziazione di accordi commerciali con l’Ue e l’Alleanza del Pacifico. A ciò si sono aggiunti i rilievi di Brasile, Paraguay e Argentina sulla violazione delle libertà e diritti umani. Il dato di fatto è che ormai sono lontani anni luce i tempi in cui il Mercosur era orientato a sinistra. Con l’arrivo di Mauricio Macri in Argentina, Michel Temer in Brasile e Tabarè Vazquez in Uruguay, il vento è cambiato nella direzione opposta. L’ideologia bolivariana di Maduro è ormai lontana anni luce da quella dominante ai tempi di Lula, Dilma Roussef, Cristina Kirchner, Pepe Mujica. Il messaggio alla comunità internazionale è forte e chiaro: il governo venezuelano non è capace di rispettare gli impegni internazionali.
Sul fronte interno c’è invece da rilevare un altro segnale evidente delle difficoltà economiche che sta vivendo il Paese. La Banca centrale del Venezuela ha infatti annunciato che dal prossimo 15 dicembre metterà in circolazione, progressivamente, sei nuove banconote e tre monete di maggior valore per facilitare i pagamenti. Presto quindi si potranno fare pagamenti con banconote da 500, 1.000, 2.000, 5.000, 10.000 e persino 20.000 bolivares (finora il massimo era di 100 bolivares), e tre nuove monete da 10, 50 e 100 bolivares. Una misura necessaria se si pensa che nel 2008 la banconota da 100 bolivares aveva una capacità di acquisto pari a 10.000 bolivares di oggi, e che oggi equivale a 0,15 dollari al cambio ufficiale, e 0,02 dollari sul mercato nero. La Banca centrale venezuelana non ha pubblicato dati ufficiali sull’inflazione o recessione economica per tutto il 2016, ma secondo il Fondo monetario internazionale i prezzi sono cresciuti almeno del 500 per cento. Secondo la Banca centrale, le nuove banconote renderanno “più efficiente il sistema dei pagamenti, faciliteranno le transazioni commerciali e minimizzeranno i costi di produzione e trasferimento monetari, a beneficio delle banche, del commercio e della popolazione in generale”.