La débacle sul referendum e la caduta del governo Renzi non sgretolano i consensi del Pd ma bastano a portare il M5S avanti di due punti nei sondaggi. Così quello pubblicato oggi sul Corriere da Nando Pagnoncelli alla data dell’8 dicembre, quattro giorni dopo l’Armageddon. Il Movimento sarebbe in testa con il 31,5% dei consensi contro il 29,8 a favore del Pd. Troppo facile dire che se si votasse oggi vincerebbero i grillini, perché dipende dalla legge elettorale rimessa alle cure del governo Gentiloni che avrà come azionisti un fronte trasversale che va da Ncd, Forza Italia in appoggio esterno, centristi e verdiniani di Ala già mezzi dentro. Tutti in allarme per l’avanzata del movimento di Grillo.

Fatto sta che rispetto ad altre consultazioni, rileva Pagnoncelli, non c’è stato uno spostamento netto e significativo delle intenzioni di voto come fu dopo le europee (a favore di Renzi) o dopo le amministrative (a favore di Grillo). Sotto la soglia del 12% stanno Forza Italia e Lega Nord, entrambe all’11,9. Fratelli D’Italia passa dal 2% del 2013 al 4,8, con brindisi della Meloni perché in caso di soglie di sbarramento va verso la messa in sicurezza e di misura su Ncd-Udc che sta al 3,8.

Restano i tre poli, dunque. Con una compagine del Sì ancora in piedi che vale quel 40% che si è visto nelle urne del 4 dicembre e un non componibile fronte del No che vale ancora il 59%, ma non è spendibile in caso di elezioni. Se la legge elettorale premiasse le coalizioni si avrebbe un testa a testa tra area Dem al 29,8 che potrebbe allargarsi fino al 34,6% se mai riuscisse nell’impresa di recuperare tutta la sinistra (Sel 3,2 e altre liste 1,6) e qualche pezzetto anche di Scelta Civica, che nel 2013 aveva un più che dignitoso 8,3% e oggi non raccatta che decimali: 0,6. Il centrodestra, semmai riuscisse a risolvere la disfida tra Salvini e Berlusconi, potrebbe contare su un 28,6 di consensi. M5S correndo da solo potrebbe attrarre però chi non gradisce la logica bipolare e meno che mai una legge elettorale che premia chi la fa.

Il sondaggio fa ancora opera d’igiene rispetto al mito del 40% che i renziani interpretano ancora come gradimento personale del leader, naturale confluenza dei voti delle europee. Se il Pd di Renzi non viene ridimensionato più di tanto quei 13,4 milioni di voti “non possono essere considerati appannaggio del Pd, nonostante il dato percentuale presenti una singolare vicinanza con quello del 2013, quando il Partito democratico prese il 40,8% con 11,2 milioni di voti”. L’analisi dei flussi elettorali, prosegue il sondaggista, “ha dimostrato che si sono espressi a favore del Sì circa un quarto degli elettori di Forza Italia e circa il 10% di quelli della Lega, del M5S e di Fdi, i quali, in caso di elezioni politiche, sembrerebbero confermare l’orientamento di voto per il loro partito”.

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