Certamente sbaglio, ma secondo me i partiti politici – tutti i partiti – sono vecchi, stantii. E’ vero che il dramma politico sconfina ogni dove, e non solo da noi: ma proprio questo dovrebbe fare riflettere. Il sistema capitalistico/finanziario è il responsabile fondamentale della perdita di rotta di un mondo evoluto che ha elargito molto benessere: purtroppo però non si preoccupa se tutto questo avviene sull’onda di una politica dell’indebitamento che ormai strangola gli Stati Sovrani; io non sono né mai sono stato comunista, ma credo che sia un errore non cercare di rivisitare certe idealità sociali per integrare ciò che il capitalismo di buono ci ha portato. Certo, occorre una nuova risposta e questa va immaginata, studiata, costruita, avendo sempre d’occhio l’interesse di tutti e non solo di una parte privilegiata dell’umanità.
E’ un problema di “nuova cultura” che deve essere aiutata a nascere. La levatrice di questa auspicata nuova cultura dovrebbe essere duplice: il “mondo intellettuale” da un lato e il partito politico dall’altro. Il mondo intellettuale oggi, mi sembra, cincischi: è assestato solo su un versante critico, pochissimo propositivo: il “partito politico” – nel senso di promotore di nuove ere intellettuali e sociali – oggi non esiste: né da noi né altrove.
Viviamo in un mondo nel quale il baricentro dell’attenzione di tutti è l’economia. Esclusivamente l’economia. Difficile scantonare, quando al contrario, a mio parere, ci sono altri problemi che sono importanti almeno tanto quanto l’economia. Ma, per il momento dimentichiamoli. Sono i problemi che in realtà condizionano l’economia, non viceversa. Il mondo intero viene condotto attraverso comandi e impulsi che si originano nel mondo economico o, meglio, nel mondo finanziario. Dovrebbe essere il contrario: ma la realtà vera è questa.
Questi comandi/impulsi sono sempre motivati da tornaconti parziali: siano essi originati da privati che vogliono arricchirsi o da Paesi che vogliono crescere più di altri. Il mondo finanziario ha in mano un’arma micidiale, vincente: quest’arma si chiama “debito“: o, come dicono gli inglesi, thin air, aria fina, denaro che non c’è.
La scoperta nasce il 15 agosto del 1971. Bretton Woods, fine del golden dollar. E il luogo dove comincia un’era fantastica che ora rischia di travolgerci tutti si chiama Stati Uniti d’America. Non che l’indebitamento sia stato scoperto solo allora: tutti, privati, aziende, Stati Sovrani potevano indebitarsi, ma per gli Stati Uniti sussisteva una situazione particolare: si erano impegnati a garantire che qualsivoglia Stato Sovrano si fosse presentato con dollari/carta chiedendo in cambio oro, la ragione dello scambio sarebbe stata di 35 dollari per una sola oncia d’oro: in qualsiasi parte del mondo. E gli Usa davano garanzia.
Forse pochi ci han pensato, ma questa condizione generava una conseguenza molto importante: e cioè che gli Usa non potevano “stampare moneta” come, quanto e quando avrebbero voluto: il che li obbligava a una gestione dello Stato oculata, prudente, ben bilanciata. La guerra del Vietnam mise a nudo che gli Usa dovevano stampare un sacco di cartamoneta verde per pagare i debiti generati dallo sforzo bellico e ritirarono la garanzia: fine del golden dollar e inizio di un processo di svalutazione progressiva della moneta Usa che da allora non si è più fermato (oggi abbiamo superato il 4.000%).
Gli Usa, con un colpo geniale, hanno sostituito il golden dollar col petrodollaro, mediante un accordo di ferro con l’Arabia Saudita. Sono passati più di quarant’anni e ne è nata una conseguenza non soltanto americana. Ricorrendo senza freni all’indebitamento, gli Usa prima, ma subito dopo tutto il mondo dollar-based, hanno scatenato una conduzione dei vari Stati fondata sull’indebitamento, cioè sul denaro che non c’è ma che a scadenza va trovato e consegnato ai creditori, ormai da più di quarant’anni.
Oggi qualcosa non gira più per il giusto verso: quando tu stampi cartamoneta tu crei un debito. E i debiti, prima o poi, vanno pagati. E per pagarli occorre un’economia produttiva che generi moneta reale per pagare i debiti cartacei.
Anche il petrodollaro scricchiola, e di brutto, ma, soprattutto, è arrivata la Cina che, oltre agli spazi per la sua gigantesca economia produttiva, pretende spazi per la propria moneta: e ciò può avvenire solo a danno del dollaro…
Ma ci sarebbe un ulteriore guaio: l’intera umanità “occidentale”, che ha vissuto un periodo più che quarantennale di benessere, non intende rinunciare a questo. Si dirà “ma era fondato su un enorme, gigantesco e incontrollato indebitamento”, ma il legame fra “debito” e “benessere” è ben lontano da essere percepito dalla gente: questa vuole continuare a star bene e vede che la cosa appare assai difficile, se non per certe categorie privilegiate che diventano sempre più ricche, mentre gli altri diventano sempre più poveri.
Che facciamo? Continuiamo a indebitarci? A carico dei nostri figli? E quando questi riusciranno a pagare i debiti che noi procuriamo loro?