A Ferrara Palazzo Costabili merita una visita, a prescindere. Senza contare che nella cinquecentesca architettura ha sede il Museo archeologico nazionale di Spina. Così entro, temendo che ci sia il sold out. Invece fare i biglietti è operazione da poco. Non c’è fila. Anzi non c’è proprio nessuno. Un custode mi descrive il percorso di visita. Dalla loggia mi sposto verso la sala delle piroghe, entro.
Le due imbarcazioni monossili, presumibilmente di età tardoromana, rinvenute nel 1940 durante gli scavi di un canale artificiale in Valle Isola, nel comprensorio delle Valli Nord di Comacchio, in provincia di Ferrara, sono magnifiche. I pannelli spiegano ogni cosa. Leggere è un piacere. Esco, mi guardo intorno. M’infilo nella sala dedicata all’abitato di Spina. La storia delle scoperte. Ancora pannelli e postazioni video. Fotografie di scavo, fotografie aeree e materiali di scavo. Rimanere incantati è naturale.
Prima di salire lo scalone monumentale che porta al piano nobile non resisto alla tentazione di passeggiare nel giardino, anche se la giornata non è un granché. Prime riflessioni. Mi rallegro per non aver incontrato altri visitatori dal momento che in questo modo ho potuto osservare e anche soffermarmi, senza dover aspettare e neppure sbrigarmi. Certo, rimango un po’ sorpreso dal fatto che in nessuna delle sale ci fosse un custode. “Saranno sicuramente al piano di sopra”, penso, quasi per rassicurarmi. Delusione. Raggiunto il primo piano, comincio a visitare le varie sale. Tutte dedicate alla necropoli della città di Spina, “all’immenso patrimonio storico e archeologico che le oltre 4000 tombe di valle Trebba e Valle Pega poco distanti da Comacchio, hanno custodito quasi intatto fino ai nostri giorni”.
L’esposizione è bella, organizzata secondo un ordine cronologico e per contesti tombali, è un viaggio nel tempo, nel periodo di utilizzo della necropoli, dal VI al III secolo a.C. Ceramiche a figure nere e a figure rosse, vasi e suppellettili in bronzo, gioielli in oro, argento, ambra e pasta vitrea. Uno straordinario punto di osservazione per rendersi conto del rapporto privilegiato tra Spina e Atene.
Ne sono testimonianza i monumentali vasi figurati realizzati nel V secolo a.C. nelle officine ceramiche ateniesi, veri e propri capolavori che giungevano a Spina insieme a un universo di miti, credenze e religiosità. Autentici capolavori che costituiscono oggi, qui, nel Museo di Ferrara, la più importante raccolta di quel periodo esistente al mondo. Materiali straordinari di per sé ma che l’allestimento esalta. Sempre con i pannelli e le didascalie.
In una occasione, con le luci che nella sala al buio fanno risplendere non solo le sagome dei vasi, ma anche i particolari dei raffinati disegni. Il silenzio e la solitudine del piano terra, qui sono interrotti da due coppie di visitatori. A parte loro c’è finalmente un custode. All’inizio mi suggerisce il percorso di visita e al termine mi saluta con grande cortesia. Anzi mi richiama per ricordarmi che ho dimenticato il Banco tattile. Così torno indietro e mi avvicino ai materiali antichi, di tipologia antica, fissati ad un bancone. Si debbono toccare e poi leggere le didascalie in braille su un supporto dietro ciascun materiale.
Faccio per andarmene ma incontro il libro dei visitatori. Mentre firmo mi accorgo che oggi sono il primo a farlo. Con un po’ di curiosità sfoglio all’indietro. Chi ha deciso di “registrarsi” ha lasciato quasi sempre commenti entusiastici sul Museo. Peccato che si tratti spesso di poche persone. Rifaccio il percorso al contrario, esco.
Dopo aver fatto una lunga fila per entrare al Castello Estense e una decisamente più lunga per varcare la soglia di Palazzo dei Diamanti dove c’è, fino all’8 gennaio 2017 la mostra che celebra i cinquecento anni dalla prima edizione dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, ho visitato un grandissimo museo archeologico in sostanziale solitudine. Dopo essere andato a Palazzo Schifanoia, aver dovuto attendere non poco per entrare e visitare il Salone dei Mesi e la Sala delle virtù stretto tra tanti visitatori, all’archeologico quasi in visita privata.
A Piazza della Cattedrale e a Piazza Trento e Trieste, ma anche lungo le vie del centro tantissime persone. Ferrara in questi giorni è un tripudio di turisti. Ovunque. Quasi, ovunque. Al Museo archeologico vanno in pochi. Nel 2015 gli ingressi sono stati 19.794, l’anno prima 22.702, nel 2013 19.867. Numeri tutt’altro che esaltanti considerando innanzitutto la rilevanza dello spazio museale, ma anche la circostanza di trovarsi in una città “d’arte”. Insomma di essere ubicato all’interno di una rete di siti di grande richiamo. Ipotizzare che la “rete” non funzioni al meglio è fin troppo facile, forse trovare una soluzione a questa situazione un po’ meno.
Tra i visitatori che hanno lasciato un commento, diversi hanno confessato “che non conoscevano” il Museo archeologico. Che sia quindi l’insufficiente pubblicizzazione uno dei deficit che gli impedisce di incrementare il numero degli ingressi? Non è improbabile che questa sia almeno una delle concause. Quel che è certo è che appare un autentico delitto lasciare che il Museo archeologico continui a rimanere sostanzialmente escluso dai grandi flussi turistici ferraresi.