Dopo oltre 35 anni, l’Italia ha la possibilità di occupare la carica più importante dell’Europarlamento – mai ricoperta da quando, nel 1979, l’assemblea è eletta a suffragio universale – e rafforzare così il suo ruolo in un momento cruciale per il Paese e per l’Unione europea. Ma dovrà giocare con grande attenzione una partita ricca di insidie e incognite che, se sottovalutate, potrebbero lasciarla anche a bocca asciutta. La corsa è infatti tutta italiana: da una parte Antonio Tajani, di Forza Italia, quindi sostenuto dal Partito Popolare Europeo, dall’altra Gianni Pittella, del Pd, quindi sostenuto dal gruppo che ha presieduto finora, i Socialisti e democratici. Ma la “grande coalizione” tra i due schieramenti – che ha portato due anni e mezzo fa alla nomina del popolare Jean Claude Juncker alla guida della Commissione Ue – si è incrinata e il rischio che i due italiani si possano eliminare a vicenda lasciando spazio a un “terzo incomodo”, non deve essere sottovalutato.
Tajani e Pittella potrebbero diventare le vittime “sacrificali” dello scontro tra Ppe e Pse. Oggi i popolari, che dispongono di 216 seggi, sono tornati alla carica ribadendo, attraverso il portavoce del gruppo, che “i socialisti devono rispettare” il patto sottoscritto nel 2014 in base al quale un esponente della sinistra avrebbe guidato il Parlamento europeo nella prima metà della legislatura (come ha fatto finora Martin Schulz), lasciando poi il posto a un popolare. Tesi contestata dai socialisti (190 seggi), i quali ritengono inaccettabile lasciare in mano a esponenti del Ppe le tre principali istituzioni Ue (Commissione, Consiglio con Donald Tusk e Parlamento). “Voglio essere il presidente del consenso, non della bagarre” ha detto Tajani che ieri ha avuto l’investitura da parte del Ppe. Il forzista ha detto di aver “già iniziato a lavorare da ieri sera per creare questo consenso” tra gli altri gruppi parlamentari. “Vogliamo costruire un’alleanza stabile all’interno del parlamento – ha detto in conferenza stampa -. Lavoreremo sempre per costruire ponti”.
I riflettori sono al momento puntati sul vertice di giovedì e sul popolare polacco Tusk, presidente del Consiglio Europeo sponsorizzato da Angela Merkel ma, in questo momento, l’anello più debole della catena. Se dal summit emergerà che la cancelliera non difende più Tusk (il cui mandato scade tra qualche mese), i socialisti potrebbero avere la strada spianata per mettere un loro esponente al Consiglio e Tajani avrebbe via libera all’Europarlamento.
Ma se ciò non accadrà – o se non interverranno altre intese – si arriverà al 17 gennaio, giorno fissato per l’elezione del nuovo presidente dell’Europarlamento, dovendosi affidare alla conta dei voti espressi a scrutinio segreto. E né i socialdemocratici, né i popolari avranno da soli i numeri per poter eleggere il loro candidato, almeno nei primi tre scrutini in cui è necessaria la maggioranza assoluta dei votanti (gli eurodeputati sono in tutto 751). Diventeranno quindi determinanti i voti degli altri gruppi, dai 75 dei conservatori ai 70 dei liberali, ai 52 della sinistra unitaria ai 50 dei verdi e dei gruppi euroscettici Efdd (45 con Ukip e M5S) e Enf (38 con Fronte National e Lega Nord). Al quarto scrutinio la spunterà il candidato che avrà preso più voti.