Esattamente 10 anni fa compariva su Lancet un importante articolo che evidenziava come sostanze chimiche di origine industriale danneggiassero gravemente il cervello in via di svuluppo e contribuissero a quella che è stata definita la “pandemia silenziosa”, ovvero il dilagare nell’infanzia, a livello globale, di disturbi del neurosviluppo che vanno dall’autismo al deficit di attenzione ed iperattività ed al ritardo mentale.
L’allarme veniva raccolto dall’Harvard School of Public Health, stimando che addirittura un bambino su sei al mondo presentasse problemi più o meno gravi del neurosviluppo. Nell’articolo di Lancet veniva fatto un primo elenco di 202 sostanze già da tempo note per essere tossiche per il cervello umano fra cui 25 metalli, in primis piombo e mercurio, ed oltre 80 pesticidi, ma poi anche solventi e sostanze quali diossine e Pcb.
La letteratura scientifica che ne è seguita è ormai corposa ed è diventato consueto quantificare addirittura i costi economici dei danni alla salute che ne conseguono, specie per l’infanzia: nel 2011 un articolo stimava che, per l’esposizione a piombo e mercurio, i costi per danni alla salute dei bambini in Usa fossero pari a 76,6 miliardi di dollari.
Nel 2013 un’ampia indagine condotta per valutare i livelli di mercurio sui capelli di donne in età fertile in Europa ha stimato che ogni anno – specialmente nel Sud Europa – nascano 1.800.000 bambini esposti in utero a livelli di mercurio superiori a quelli considerati “accettabili” e che solo per questo si perdano ogni anno 600.000 punti di quoziente intellettivo. Nel 2015 è poi stato pubblicato da un ampio panel di esperti un lavoro che ha stimato i costi economici per esposizione ad interferenti endocrini in Europa: per quanto riguarda il neurosviluppo – con ampio consenso del panel – è stato stimato che ogni anno si perdano 13.000.000 di punti di quoziente intellettivo per la sola esposizione in utero a pesticidi organofosati e che vi siano annualmente 59.300 casi aggiuntivi di disabilità intellettuale. Con minor probabilità si è valutato che potessero insorgere 316 casi di autismo e da 400 a 31.200 nuovi casi di deficit di attenzione ed iperattività.
Anche per quanto riguarda la qualità dell’aria sta emergendo come essa sia ormai un cocktail tossico non solo per sistema cardiocircolatorio ed apparato respiratorio, ma per lo stesso cervello umano: una recente revisione ha valutato che per esposizione a solo pm2.5 l’incremento del rischio di autismo varia dal 15% al 177%. In questo contesto, quindi, ben magra consolazione desta l’ultimo studio di biomonitoraggio dell’Iss su bambini e donne di Taranto. Secondo quanto riportato dalla stampa da questa indagine emergerebbe che i livelli di inquinamento non differirebbero sostanzialmente fra la città pugliese e Roma: di fatto i bambini presupposti “sani” che vivono nelle aree maggiormente esposte (Tamburi, Paolo VI, Statte) hanno alterazioni più evidenti del quoziente intellettivo, aumento di iperattività, ansia e depressione e disturbi del neuro-sviluppo rispetto a chi vive in aree localizzate a maggior distanza dall’Ilva, indipendentemente da fattori socio-economici e culturali. E se Taranto è ormai diventata, al di là di ogni dubbio, un gigantesco laboratorio in cui le cavie sono purtroppo gli abitanti e soprattutto i bambini, non dimentichiamo che ormai siamo noi tutti vittime di un gigantesco esperimento, come un articolo di Nature di alcuni anni fa lucidamente esponeva con queste precise parole: “Il nostro ecosistema è ormai un gigantesco esperimento chimico-biologico, in cui siamo contemporaneamente sperimentatori e cavie, speriamo che l’esperimento vada a buon fine, ma nessuno è in grado di prevederlo”.
Se non siamo in grado di renderci conto di tutto questo e di agire secondo un principio di responsabilità, il futuro è davvero oscuro e per me è semplicemente sconvolgente pensare che mentre stiamo creando con i nostri dissennati comportamenti enormi problemi alle generazioni future, contemporaneamente stiamo togliendo loro l’intelligenza per risolverli.