La palla passa ora alla Corte Costituzionale, che potrebbe dichiarare illegittima la normativa varata dal governo Renzi. L'ordinanza di rimessione contesta non solo le limitazioni al diritto di recesso dei soci, ma anche la forma con cui è stato adottato il provvedimento
Non solo il diritto di recesso dei soci. Nel mirino del Consiglio di Stato, che giovedì ha rimesso la questione alla Corte costituzionale, c’è anche il fatto che il governo Renzi all’inizio del 2015 ha varato la riforma delle banche popolari con un decreto legge senza però che sussistessero i necessari “presupposti di necessità e urgenza“. Così ora anche questa norma rischia di essere azzerata dalla Consulta, che a fine novembre ha bocciato alcune parti della riforma della pubblica amministrazione.
E’ quello che emerge dall’ordinanza di rimessione depositata dai giudici amministrativi: alla Consulta non viene sottoposto solo il nodo relativo alla possibilità per Bankitalia di consentire il congelamento a tempo indeterminato del diritto al rimborso dei soci che vogliono uscire dal capitale nel momento in cui la popolare si trasforma in spa. Ma anche quello che riguarda l’utilizzo del decreto legge, perché “sembrerebbero sussistere adeguati indicatori da cui potrebbe evincersi la manifesta insussistenza dei presupposti di necessità e urgenza della riforma di cui trattasi, avuto il debito riguardo alle modalità anche temporali con cui essa è stata introdotta e portata a regime”.
La decisione potrebbe “impattare sull’intera riforma”, sottolineano i legali che hanno curato i ricorsi per conto di diversi soci. Secondo l’avvocato Federico Tedeschini “l’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale chiede di rimettere in discussione tutto il decreto legge sulla trasformazione delle popolari in spa”. “Gli effetti – aggiunge l’avvocato Luis Corea – sarebbero dirompenti, non solo perché si innescherebbero inevitabili istanze risarcitorie, ma anche perché una decisione di questo tipo certificherebbe che sulla trasformazione in spa, che di per sé non è un atto illegittimo, ha pesato un obbligo e la volontà dell’assemblea è stata in parte coartata. E questo potrebbe avere effetti più ampi”. Il presidente di Assopopolari, Corrado Sforza Fogliani, ha commentato a sua volta dicendo che si tratta di “un atto di accusa, preciso e impietoso, a riguardo della legge contro le Popolari voluta dal passato governo”.
L’ordinanza è stata preceduta da quella del 2 dicembre con cui i giudici amministrativi hanno sospeso in via cautelare alcune disposizioni della circolare della Banca d’Italia annunciando che la questione sarebbe stata sottoposta alla Consulta. Passaggio, quest’ultimo, che si concretizza appunto con l’ordinanza di remissione arrivata giovedì. Nel frattempo, il giudizio di fronte al Consiglio di Stato resta fermo e sarà ripreso dopo la pronuncia della Consulta.
A rivolgersi ai giudici amministrative sono stati alcuni soci delle banche, che si sono visti respinto il ricorso al Tar e hanno fatto appello. E il Consiglio di Stato ha ritenuto “rilevanti e non manifestamente infondati” alcuni degli aspetti sollevati dai ricorrenti e ha deciso di sottoporli alla Consulta. Il tema centrale è appunto quello del diritto di recesso. Il decreto legge del governo, infatti, prevede che il diritto del socio che recede a vedersi liquidate le azioni non sia solo differito entro termini precisi e con interessi, ma possa essere limitato fino a escluderlo. Inoltre attribuisce a via Nazionale il potere di disciplinare le modalità di tale esclusione prospettando – secondo il Consiglio di Stato – la “attribuzione all’Istituto di vigilanza di un potere di delegificazione in bianco”. Due aspetti su cui i giudici amministrativi sollevano dei dubbi, sostenendo che il rimborso possa semmai essere differito, ma non negato. In aggiunta viene sollevata questione di costituzionalità anche in relazione all’articolo 77 della Costituzione, e quindi proprio per l’utilizzo del decreto legge. Spetterà alla Corte Costituzionale stabilire se ci fossero i presupposti di necessità e urgenza che lo giustificassero.
L’intervento dei giudici amministrativi, che arriva a quasi due anni dal varo della riforma e a pochi giorni dal limite fissato per la trasformazione in spa, cambia le carte in tavola sia per i sette istituti che hanno già completato il percorso e ora rischiano richieste di rimborsi milionari sia per la Popolare di Bari e quella di Sondrio, le cui assemblee devono ancora pronunciarsi sul cambio di ragione sociale. La prima ha rinviato la convocazione dall’11 al 27 dicembre, ultimo giorno utile, in attesa di un probabile intervento del governo Gentiloni. La Popolare di Sondrio ha presentato istanza al Consiglio di Stato chiedendo una sospensiva urgente del termine per la trasformazione in spa. Al momento ha in calendario l’assemblea per esaminare e deliberare la trasformazione il 17 dicembre.