Il Consiglio di Stato concede una boccata d’ossigeno alle banche popolari che devono ancora varare la trasformazione in società per azioni. Ma anche al governo Gentiloni, chiamato a mettere una pezza al precedente pronunciamento con cui i giudici amministrativi hanno sospeso una parte della riforma e rinviato la questione alla Corte costituzionale. Giovedì sera un decreto monocratico del Consiglio, accogliendo l’istanza della Popolare di Sondrio, ha sospeso fino al 12 gennaio il termine ultimo per la trasformazione, che la riforma del governo Renzi fissava al 27 dicembre.

Il 12 gennaio si terrà infatti la camera di consiglio dei giudici amministrativi per decidere nel merito sull’istanza arrivata da Sondrio, e fino a quella decisione “il termine per la trasformazione societaria è sospeso”, dispone il decreto firmato dal consigliere Roberto Giovagnoli. Che riconosce “l’estrema gravità e urgenza” del caso e dell’istanza presentata, “attesa la sostanziale irreversibilità degli effetti che deriverebbero dalle delibere di trasformazione, le quali in assenza di misura cautelare monocratica”, cioè una sospensiva urgente, “dovrebbe essere adottata entro il 27 dicembre”.

La decisione vale per Sondrio, che aveva convocato l’assemblea straordinaria proprio per il 27, ma di fatto assume carattere più generale, perché eventuali altre istanze analoghe da parte di altri istituti non potrebbero non essere accolte. Di conseguenza è probabile che anche la Banca popolare di Bari, che aveva già rinviato la convocazione, avvii la prossima settimana le pratiche per sospendere l’assemblea.

A questo punto viene meno l’urgenza, per il nuovo governo, di intervenire con un decreto ad hoc mettendo a punto una soluzione ponte. Resta però da risolvere l’altro nodo, quello relativo al diritto di recesso dei soci, che un regolamento di Bankitalia – autorizzato dal testo della riforma – ha consentito di sospendere a tempo indeterminato “anche in deroga a norme di legge”. Il Consiglio di Stato ha sospeso in via cautelare quelle disposizioni e le ha rimesse al giudizio della Consulta, chiamata anche a pronunciarsi sull’utilizzo del decreto legge “in relazione alla evidente carenza dei presupposti di necessità e urgenza“.

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