Giustizia & Impunità

Expo, Sala indagato per falso: si autosospende: “La settimana prossima riferirò in Consiglio”

L'inchiesta riguarda la realizzazione della Piastra di Expo 2015, l’infrastruttura realizzata nel sito di Rho Pero dalla Mantovani. All'allora numero uno di Expo e agli altri indagati è contestato tra l'altro di non aver fatto le necessarie verifiche di congruità sull'offerta, aggiudicata con un ribasso del 42% a un ammontare "non idoneo neppure a coprire i costi". Il sostituto pg ha chiesto altri sei mesi di tempo per approfondire la vicenda. Il primo cittadino: "Attuale situazione è ostacolo a svolgere le funzioni". E annuncia che la prossima settimana riferirà in merito alla vicenda in consiglio comunale

“Apprendo da fonti giornalistiche che sarei iscritto nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla piastra Expo. Pur non avendo la benché minima idea delle ipotesi investigative, ho deciso di autosospendermi dalla carica di Sindaco, determinazione che formalizzerò domani mattina nelle mani del Prefetto di Milano“. Con questa breve nota il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha annunciato ieri sera la decisione di autosospendersi dall’incarico di primo cittadino. Il motivo: è indagato dalla procura generale del capoluogo lombardo nell’ambito dell’inchiesta per corruzione e turbativa d’asta sull’appalto per la Piastra di Expo, l’infrastruttura più costosa realizzata nel sito di Rho Pero dalla Mantovani. Tra gli indagati anche il legale rappresentante del gruppo Pizzarotti di Parma: per lui l’accusa è di tentata turbativa d’asta.

La lettera del sindaco: “Attuale situazione è ostacolo a svolgere le funzioni” – Contrariamente a quanto emerso in un primo momento, Sala ha deciso di non convocare nessuna conferenza stampa. E’ intervenuto, invece, nella riunione dei capigruppo del Consiglio comunale tenutasi nel pomeriggio a Palazzo Marino. In mattinata, invece, dopo aver incontrato il prefetto di Milano Alessandro Marangoni, il primo cittadino ha scelto di affidare a una lettera la conferma della sua posizione e l’annuncio che si presenterà in consiglio a Palazzo Marino la prossima settimana. La missiva è stata inviata al presidente del Consiglio comunale Bertolè, alla vice sindaca della città metropolitana Censi e alla vice sindaca del Comune Scavuzzo. “Ritengo che l’attuale situazione determini per me un ostacolo temporaneo a svolgere le funzioni” ha scritto Giuseppe Sala, comunicando che sarà sostituito “nell’esercizio di dette funzioni rispettivamente dalle Vice sindaco Anna Scavuzzo e Arianna Censi“. Non solo. Il primo cittadino ha anche motivato il motivo della sua decisione: “La mia assenza è motivata dalla personale necessità di conoscere, innanzitutto, le vicende ed i fatti contestati; pertanto – ha aggiunto – fino al momento in cui mi sarà chiarito il quadro accusatorio, ritengo di non poter esercitare i miei compiti istituzionali. La prossima settimana – ha concluso Sala – mi presenterò al Consiglio del Comune di Milano e della Città Metropolitana per riferire in merito“. Le parole del sindaco di Milano, tuttavia, lasciano qualche dubbio squisitamente procedurale. In tutte le norme citate dal primo cittadino milanese (il comma 2 dell’articolo 53 del decreto legislativo 267 del 2000; l’articolo 42 dello statuto del Comune di Milano; l’articolo 21 dello statuto della Città Metropolitana), infatti, non si fa mai riferimento all’istituto dell’auto sospensione, che di fatto non è contemplato. Per questo motivo, quella di Sala è una decisione totalmente politica, senza riscontri dal punto di vista delle norme che regolano le sue funzioni e le sue prerogative. In serata, poi, è arrivata una mezza conferma. Da quanto appreso dall’agenzia Dire da fonti vicine alla Prefettura, Giuseppe Sala durante il colloquio con il prefetto Alessandro Marangoni ha adottato la formula dell’assenza temporanea, prevista dallo statuto comunale per incardinare in modo formale la sua autosospensione. Questa ‘assenza’ verosimilmente non dovrebbe durare più di una quindicina di giorni.

di Luigi Franco

Le “anomalie e irregolarità” nell’assegnazione dell’appalto e nella fase esecutiva – Le ipotesi di reato a carico del primo cittadino, all’epoca dei fatti amministratore delegato di Expo, sono di falso materiale e concorso in falso ideologico. In particolare secondo il sostituto procuratore generale Felice Isnardi, che ha chiesto una proroga di sei mesi per approfondire le indagini dopo aver avocato a sé l’inchiesta, ci sono state “numerose anomalie e irregolarità amministrative” nella fase di “scelta del contraente”, l’impresa Mantovani, che vinse l’appalto con un ribasso del 42% sulla base d’asta di 272 milioni. Un ammontare “non idoneo neppure a coprire i costi“, avevano sottolineato i pm nella iniziale richiesta di archiviazione, a cui il gip Andrea Ghinetti si è opposto inducendo la procura generale a togliere loro il fascicolo. Per finire i lavori entro aprile 2015, come previsto, ci si piegò a una “deregulation dettata dall’emergenza”. E anche dopo, durante la fase esecutiva, all’appaltatore “fu consentito di entrare in una anomala trattativa al rialzo con il committente, ponendo come contropartita la cessazione dei lavori, la cancellazione dell’evento e la credibilità del Paese“.

I 6mila alberi forniti dalla Mantovani – C’è poi il capitolo dell’improprio affidamento diretto alla stessa Mantovani della fornitura di 6mila alberi “per un importo di 4,3 milioni di euro a fronte di un costo per l’impresa di 1,6 milioni”. L’altra ipotesi di falso riguarda la sostituzione, decisa nel 2012, di un componente della commissione aggiudicatrice dell’appalto: per accelerare i tempi e non far slittare l’avvio dei lavori il sostituto fu scelto con una procedura accelerata e il provvedimento di annullamento della nomina fu retrodatato. Due verbali relativi riporterebbero “circostanze non rispondenti alla realtà” e, in particolare, sarebbero stati retrodatati con “l’intento di evitare di dover annullare la procedura fin lì svolta” anche per il “ritardo” sui “cronoprogrammi” dell’Expo, scrive la Gdf di Milano in un’informativa del maggio 2013.


La strategia dei vertici di Expo per “tutelare e garantire il loro ruolo” – Gli investigatori del Nucleo di polizia tributaria, già dopo che la Procura aveva iscritto nel registro degli indagati i primi nomi, avevano scritto tra le altre cose che anche l’allora numero uno di Expo Sala, il responsabile unico del procedimento Carlo Chiesa e il general manager Angelo Paris avevano tenuto un comportamento non “irreprensibile e lineare“. Pur “con gradi di responsabilità diversi – chiariva la Gdf – attraverso le loro condotte fattive ed omissive hanno comunque contribuito a concretizzare la strategia volta a danneggiare indebitamente la Mantovani per tutelare e garantire, si ritiene, più che la società Expo 2015 Spa il loro personale ruolo all’interno della stessa”. Sala poi, come ha messo a verbale l’ex dg di Infrastrutture Lombarde spa Antonio Rognoni, avrebbe detto al manager che “non avevano tempo per potere” verificare la congruità dei “prezzi che erano stati stabiliti da Mantovani” nel corso dell’esecuzione del contratto con l’inserimento di costi aggiuntivi, e “per verificare se l’offerta era anomala o meno”.

Gli altri indagati e l’avocazione da parte della Procura generale – L’inchiesta condotta dai pm Paolo Filippini, Roberto Pellicano e Giovanni Polizzi, poi avocata dalla procura generale di Milano, aveva finora coinvolto cinque persone: Piergiorgio Baita (presidente della società Mantovani, già arrestato a Venezia per il Mose), due ex manager Expo già arrestati per altre vicende, Angelo Paris e Antonio Acerbo, e gli imprenditori della società Socostramo Erasmo e Ottaviano Cinque. Tutti indagati per corruzione e turbativa d’asta. Il gip Andrea Ghinetti, a fine ottobre, non avendo accolto la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura, aveva convocato le parti per la discussione della vicenda per poi decidere se archiviare o chiedere un supplemento di indagine o ordinare l’imputazione coatta. Nel frattempo, però, la Procura generale ha avocato il fascicolo e ha ottenuto un mese di tempo per nuove indagini, termine poi scaduto. Da qui la richiesta di proroga. Il fascicolo era stato al centro dello scontro tra l’ormai ex procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati e l’ex aggiunto Alfredo Robledo, il quale, su decisione del primo, nel 2014 era stato di fatto estromesso dagli interrogatori ‘centrali’ dell’inchiesta. L’indagine era partita nel 2012.