Nonostante l'arrivo del nuovo governo, la riforma firmata dall'ex ministra silurata e dall'ex presidente del Consiglio non sarà toccata: "Il Pd non ha cambiato idea", dicono fonti dem. Nessuna rivoluzione in vista, ma molte grane da risolvere. Insegnanti sperano di poter migliroare i rapporti con la nuova titolare del dicastero all'Istruzione
Docenti e sindacati si mettano l’anima in pace: la “Buona scuola”, la riforma di Stefania Giannini e Matteo Renzi, non si tocca. Anche se a Palazzo Chigi non c’è più il premier che l’ha voluta e a viale Trastevere il ministro che l’ha firmata (e probabilmente pure il sottosegretario Davide Faraone, dato in uscita). L’arrivo di Valeria Fedeli al ministero dell’Istruzione apre a piccole modifiche, ma secondo quanto può anticipare ilfattoquotidiano.it non ci sarà nessuna rivoluzione. Perché “il Pd sulla scuola non ha cambiato idea”, fanno sapere fonti dem (e la maggioranza è ancora quella, in Parlamento ed all’interno del partito). E perché il governo Gentiloni non avrà il mandato, e forse neppure il tempo, per smontare radicalmente la riforma; solo piccole modifiche. In compenso tutti i progetti in cantiere, dalle deleghe alle assunzioni straordinarie per le maestre d’asilo, rischiano di slittare o addirittura saltare definitivamente. Nonostante le promesse di Renzi, che aveva assicurato si sarebbero fatte a prescindere dall’esito del referendum. Solo la riforma della scuola dell’infanzia ha la certezza di essere confermata.
LA BUONA SCUOLA RESTA – La sostituzione di Stefania Giannini, praticamente l’unica a pagare la sconfitta al referendum e la crisi del governo Renzi, è stata salutata con entusiasmo da docenti e sindacati. Con l’allontanamento di quella che aveva finito per diventare il ministro più odiato della storia recente, si auguravano un passo indietro del nuovo esecutivo su tutti i punti più contestati della riforma: dalla chiamata diretta ai bonus di merito, dagli organici di potenziamento al potere dei “super presidi”. In questo senso la nomina al Dicastero di un’ex sindacalista come Valeria Fedeli era stata accolta da alcuni come un segnale incoraggiante: il nuovo ministro deve ancora esprimersi ufficialmente (potrebbe cominciare a farlo la settimana prossima), ma le aspettative degli insegnanti resteranno in buona parte deluse. La novità principale resterà l’addio della Giannini, a cui potrebbe seguire anche quello del sottosegretario Faraone, altro volto della scuola renziana molto poco amato dai docenti; con la permanenza di Toccafondi (Ncd) e D’Onghia (Gruppo Misto), il suo sostituto dovrebbe essere in quota Pd. Un’operazione d’immagine che non cambierà però la sostanza.
DIALOGO E PICCOLE MODIFICHE – Difficile, quasi impossibile che la “Buona scuola” venga ripensata radicalmente nei suoi punti fondanti. “Ci vorrebbe una legislatura intera”, ragionano da viale Trastevere. E non è proprio il caso del nuovo esecutivo: non c’è l’intenzione né il tempo di attuare una “controriforma”. In questo senso una conferma arriva anche dal fatto che la scuola non sia mai stata citata nel discorso programmatico alle Camere di Gentiloni. Ci saranno piuttosto dei correttivi su quei temi su cui già erano aperti dei tavoli con i sindacati; ora con la Fedeli gli incontri saranno più frequenti e più distesi. Ad esempio sul vincolo triennale dei trasferimenti per i docenti potrebbe essere concessa ai neoassunti una deroga la prossima estate. Fra le associazioni di categoria si spera di strappare anche un ritorno (almeno parziale) alle assegnazioni su singola scuola. Per quanto riguarda l’università, le contestatissime “Cattedre Natta” potrebbero essere modificate in parlamento, almeno nella parte delle commissioni di nomina politica. Quello, del resto, era un progetto che stava a cuore personalmente a Matteo Renzi.
LA GRANA PRECARI AL PROSSIMO GOVERNO – Il cambio al governo e al ministero, invece, segnerà quasi sicuramente un rallentamento (o addirittura un congelamento) sugli altri fronti ancora aperti. A gennaio scadono le otto deleghe che la Legge 107 assegnava al governo su temi cruciali: a questo punto l’ipotesi più probabile è che venga inserita una proroga nel Milleproroghe. Solo la riforma della scuola dell’infanzia (che prevede la creazione dei nuovi centri per bambini dagli 0-6 anni) dovrebbe essere pubblicata in tempo: il testo è praticamente pronto e i soldi stanziati nella legge di bilancio, non ci sono ostacoli al via libera. Per le altre (in particolare la riforma del sostegno e del reclutamento, su cui ci sono ancora dei nodi da sciogliera) si continuerà a lavorare nei prossimi mesi, molto dipenderà dalla durata del governo. Il resto rischia semplicemente di saltare. Sono già sfumate, ad esempio, le assunzioni di potenziamento dell’infanzia: Renzi aveva promesso i posti alle maestre d’asilo a prescindere dall’esito del referendum, ma la norma avrebbe dovuto essere recuperata nella legge di bilancio al Senato, e non è stato fatto. Ora la strada è in salita. Di nuovi Tfa e concorsi riservati per i supplenti rimasti fuori dalle ultime prove (l’ipotesi a cui il Miur stava lavorando) neanche a parlarne: verrà avviato solo il Tirocinio di specializzazione per gli insegnanti di sostegno; il bando è già stato pubblicato e le scuole ne hanno urgente bisogno. Poi trovare una soluzione per tutti i precari ancora in attesa di una cattedra diventerà un problema del prossimo governo. Qualunque esso sia.