Michele deve interrompere il corso di nuoto, forse anche quello di francese che lo aiuterebbe per l’esame di maturità: i suoi non hanno più soldi. Suo padre non ha perso il lavoro, è che ha iniziato a spendere parte del suo stipendio nelle slot machine della sala giochi sotto casa. Sua madre, casalinga, non ha uno stipendio, nel tentativo di controllare il marito e distoglierlo dal gioco, è rimasta invischiata anche lei.

Il gioco d’azzardo patologico è un problema che ha ripercussioni importanti sulla famiglia del giocatore e sulla comunità. Si gioca per le motivazioni più varie: per vincere denaro e migliorare la condizione sociale, per noia, per solitudine, per sperimentare stati di eccitazione, per scarsa autostima.

Tutti vorremmo migliorare la condizione economica investendo poco denaro: minimo impegno massimo rendimento. Per la maggior parte ci rendiamo conto che non diventeremo mai ricchi con il gioco, ma la possibilità di sognare che questo possa avvenire ha un potenziale positivo che per qualcuno è ammaliante. L’illusione di un guadagno facile distoglie dalla consapevolezza di una molto più probabile perdita, visto che nelle lotterie, nei gratta e vinci, nei poker online, ecc… il risultato è determinato dal caso e le probabilità di vincere sono praticamente nulle.

Il gioco d’azzardo elargisce vincite di rado e a casaccio, senza possibilità di previsione, procurando uno stato di eccitazione che il giocatore cerca continuamente di riprodurre. E’ noto che il rinforzo più efficace non è quello successivo a ogni atto corretto, ma è piuttosto quello intermittente: l’aspettativa del premio, anche quando non viene elargito, costituisce essa stessa un rinforzo. Nell’attesa del risultato chi gioca può immaginarsi, e sentirsi, ricco e potente, avere un’illusione di controllo sulla casualità e compensare altri sentimenti negativi che prova quotidianamente. Egli mente ai membri della famiglia, allo psicoterapeuta se ne ha uno, agli altri. Mente soprattutto a se stesso per nascondere l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco e la portata del proprio fallimento, aspetto questo che si concretizza nel gioco ma ha origini in altre aree della vita. Il problema non è il gioco in sé, ma quello che c’è dietro, quello che lo sostiene sul piano personale.

La storia del comportamento ludopatico aiuta a ricostruire un significato, a dare una coerenza per poter immaginare una soluzione.

I genitori di Michele non sono genitori cattivi, sono genitori che si sono persi. Annebbiati dall’illusione di un futuro più ricco, non si rendono conto di perdere di vista il rapporto con i figli, il loro benessere. Sono oppressi dalle responsabilità della famiglia attuale e anche di quella di origine visto che i rispettivi genitori sono malati. Sono partner che hanno smesso di comunicare da diverso tempo, la cui  reciprocità di coppia si è ridotta alla risoluzione delle problematiche quotidiane o alla condivisione dell’area del gioco, sono perciò soli.

Il gioco permette di evadere dalla propria vita e crea condizioni che portano ulteriormente lontani da se stessi.

In periodi di crisi economica il mercato del gioco d’azzardo aumenta proprio perché permette di immaginare futuri ideali a chi ha pochi strumenti a disposizione.

Il Comune di Roma ha varato una delibera che limita il tempo e lo spazio in cui è possibile giocare: 500 metri la distanza minima dai luoghi “sensibili” come ad esempio scuole, centri sportivi, chiese, caserme e sportelli bancomat, orari d’esercizio più restrittivi, inasprimento delle sanzioni per chi non rispetta le restrizioni.

Questo è un passo concreto, importante, utile.

Dobbiamo considerare parallelamente che il problema coinvolge piani molto meno concreti soprattutto relazionali e i percorsi di soluzione devono tenerlo presente. Per questo funzionano bene i gruppi terapeutici (Sert), i gruppi di auto aiuto (Giocatori anonimi) e qualsiasi percorso che preveda sostegno, comprensione, senso di appartenenza e che aiuti a rimettere ordine in una vita che si è svuotata di contenuti.

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