Ci sono storie d’amore destinate a durare in eterno. Ce ne sono altre che toccano il loro apice, poi si sbriciolano, senza possibilità di ricomporsi. Cioè, magari ci può essere un ritorno di fiamma, illusorio, ma quel che si è perso si è perso, e il ricordo di quel che c’è stato è talmente alto, siderale quasi, da impedirci di accettare la minestra riscaldata che ci troviamo di fronte. Non esiste, va detto, una regola ferrea, un canone al quale attenersi. Per intendersi, non è dato sapere quanti ritorni di fiamma si possono accettare prima di alzare le mani e arrendersi all’evidenza. Non è stabilito da una legge, né da una consuetudine. Uno se lo sente, si dice in questi casi. Lo capisce da uno sguardo, da una questione di pelle.
Ecco, mi sa che la mia storia d’amore con Francesco De Gregori sia definitivamente andata. Arrivederci amore, ciao.
Perché se con l’uscita di Francesco De Gregori canta Bob Dylan tutto quel che avevo sopportato negli ultimi anni era come passato di colpo, dimenticato per quei meccanismi che, appunto, solo l’amore rende possibile, vederlo lì, ospite di Maria De Filippi e Sabrina Ferilli, a House Party è stato troppo: l’ennesimo paio di corna messo in pubblico, l’affronto di un segno di rossetto sul bordo della camicia, neanche nascosto, la risata di scherno di troppo della conoscente al supermercato, lei che sa e io no. Perché uno non è che pretenda che ci sia un’adesione totalizzante alla figura di Dylan, cantata appunto nell’ultimo album, ma almeno qualcosa che ci somigli anche vagamente, santo Iddio. Dylan vince il Nobel e non risponde per un mese. Dylan alla fine accetta, ma non commenta. Dylan dice che non andrà alla premiazione, perché ha un non ben precisato impegno precedente. E Dylan in effetti non va, perché ha altre priorità.
Invece lui, De Gregori, il ruvido cantautore che ha sempre trattato gli altri con distacco, quasi antipatia, anzi, il cantautore ruvido che sulla distanza tra sé e il pubblico ci ha pure scritto una canzone, uno talmente radical chic, e Dio mi perdoni per aver usato questo orribile concetto, da aver rivendicato la propria superficialità, ecco, De Gregori non salta più un appuntamento, cascasse il mondo. E non si tratta appuntamenti come il Nobel, per capirsi, perché De Gregori il Nobel non l’ha ovviamente vinto. No. Lui viene invitato a Amici? Eccolo che arriva. Lui viene invitato al concerto all’Arena de Il Volo, eccolo. Lui viene invitato a X Factor, zac, eccolo lì. Lui viene invitato a House Party, il nuovo programma di Maria De Filippi, in compagnia della signora Cattaneo ed eccolo lì. In ottima compagnia di altri ospiti della levatura di Alessandra Amoroso, Emma, Elisa, la ringiovanita Fiorella Mannoia, Giorgio Panariello, Gianni Morandi, tutti rigorosamente del buon Ferdinando Salzano, titolare di Friends and Partners, così come la quasi totalità degli ospiti televisivi chez De Filippi e chez Carlo Conti, a sua volta con F&P. A far compagnia a De Grgori ad House Party c’era anche il prezzemolino Roberto Saviano, domani sera a presentare il suo ultimo romanzo a cena a casa vostra, e il Pupone Francesco Totti, uno che ultimamente staziona più spesso dentro la televisione, tra programmi e spot, che in campo, e il bel Patrick Dempsey, il dottor Shepperd di Grey’s Anatomy.
Ecco, vederlo lì, in quel programma che eleva il trash a emulazione fallita di una emulazione fallita, triplo salto mortale che il buon Tommaso Labranca fortunatamente si è perso, è qualcosa che strugge l’anima. Perché manca una spiegazione logica. Come era mancata a vederlo all’Arena di Verona per festeggiare il suo Rimmel, per il quarantesimo anniversario, in compagnia di gente come Fedez, Giuliano Sangiorgi o Checco Zalone.
Non sei un cantante pop, Francesco. Non lo sei mai stato. Non è che se ci dici che in realtà sei superficiale ti crediamo, eh. Abbiamo ascoltato le tue canzoni, non le abbiamo capite, a volte, ma le abbiamo ascoltate. Sappiamo a memoria tutto quel Rimmel che hai deciso di dare in pasto ai porci, e va bene. Sappiamo a memoria un sacco di altre tue canzoni, a dire il vero, anche se quasi mai si tratta di canzoni recenti, perché sono anni che non ci regali capolavori in grado di reggere il confronto con una Buffalo Bill, una La donna cannone, sì, citiamo anche la canzone più scontata, parlando di te, una Generale, una Pezzi di vetro. Sappiamo che dal vivo ti piace farle a pezzi, proprio come Dylan, perché in fondo ti piace darci fastidio, risultare inesorabilmente stronzo. Ma non sei un cantante pop. Non sei Alessandra Amoroso, e ci verrebbe da augurarci che non sia tua ambizione diventarlo o guardare al suo pubblico di ragazzini, come invece sembra voler fare la Mannoia. Non sei Emma, non sei Fedez, non sei Benji e Fede o Il Volo, ospiti della seconda puntata di House Party. Sei Francesco De Gregori, quello che se lo incontri per strada sotto la pioggia ti canta “guarda che non sono io”.
Questo passaggio è inteso forse come qualcosa di promozionale? Cioè c’è un solo essere vivente che, guardando De Gregori lì, ospite della De Filippi in questo trionfo di bruttezza può essere spinto a comprare anche una sola canzone di De Gregori su iTunes? Perché a me, personalmente, vedendolo lì viene voglia di rigare tutta la sua discografia con un chiodo arrugginito, cantando brani di Mimmo Locasciulli all’incontrario. C’è un solo fan della Amoroso che, vedendolo lì, deciderà di mollare definitivamente la cantante pugliese per diventare fan del Principe? Che sostituirà nella playlist dello smartphone Vivere a colori con Povero Me o La valigia dell’attore? Perché, citando proprio Povero me, a vederlo lì a me viene proprio voglia di menare le mani. Perché mi sento vagamente preso per il culo, non tanto per quel che De Gregori sta facendo oggi, cioè svilirsi e svilirci con passaggi televisivi discutibili, quanto per quel che credevo facesse in passato, cioè promuovere un’idea alta di musica. Ecco, ho usato la parola “alta”, per cui adesso arriverà qualcuno a parlare di “pseudo-intellettualismi” (pochi, fortunatamente, perché uno si offende perché ho parlato male della Amoroso, con buona probabilità, si impunterebbe prima di aver finito la parola pseudo-intellettualismi), o di “radical chic” (chi di spada ferisce…), ma il punto è proprio questo: vedere De Gregori flirtare con la De Filippi, o quantomeno renderla credibile, riconoscerla come una propria interlocutrice, equivale a sdoganare l’idea di pseudo-intellettualismo. Equivale a dire che essere colti è qualcosa di inutile, di risibile. Equivale a dire che in fondo va bene anche il basso, senza però far riferimento, corretto, all’umiltà, ma solo ed esclusivamente al trash. Niente a che vedere con una rivalutazione del popolare, qualcosa di pasolinianamente vicino alla verità che spesso alberga solo lontano dall’accademia, ma semplicemente equivale a dire che non c’è più distinzione tra bello e brutto, e che anche chi fino a ieri sembrava dedito solo alla ricerca del bello è disposto a sposare il brutto, vai a capire perché.
Questo ai miei occhi appare davvero troppo. Non solo essere traditi, ma essere traditi con qualcuno che nulla ha a che spartire con noi, e farlo senza vergogna, senza pudore, sfrontatamente. Poi, magari, un po’ come è successo per l’evento all’Arena e il disco su Bob Dylan, De Gregori sfrutterà l’essere passato da House Party per tirare fuori una gemma, perché per potersi permettere qualcosa come Amore e Furto, è chiaro, De Gregori ha dovuto cedere su quell’altro fronte, ma per me è un tradimento di troppo, l’ultimo paio di corna. Tocca schierarsi, Francesco, decidere da che parte stai. Tanto i fan della Amoroso continueranno a scegliere lei, e anche quelli di Elisa, sempre che esista una qualche differenza tra queste due entità.
Tu da che parte stai? Dalla parte di chi ruba nei supermercati o di chi li ha costruiti rubando? Per dirla col poeta.