Intesa Sanpaolo pagherà una multa di 235 milioni di dollari per violazioni rilevanti delle leggi anti-riciclaggio dello Stato di New York e del Bank Secrecy Act“. Lo ha reso noto giovedì scorso il Dipartimento per i Servizi Finanziari dello Stato di New York (Dfs). Dal 2002 al 2014 il sistema di monitoraggio delle transazioni della sede di Banca Intesa a New York sarebbe stato gestito in modo improprio e non avrebbe identificato “trasferimenti di denaro sospetti”. “Solo nel 2014 circa il 41% delle segnalazioni di operazioni sospette prodotte dal sistema di compensazione (non autorizzato) della banca sono state considerate come falsi allarmi, mentre avrebbero richiesto ulteriori indagini interne”, si legge nel comunicato stampa del Department of Financial Services. In più Intesa avrebbe “formato appositamente alcuni dipendenti a trattare le transazioni che coinvolgevano l’Iran per confondere l’elaborazione dei dati, in modo che non potessero essere classificate come operazioni legate a un Paese oggetto di sanzioni”. Le indagini del Dfs hanno rivelato che, dal 2002 al 2006, “Intesa ha usato pratiche e metodi opachi per effettuare più di 2.700 transazioni, del valore di oltre 11 miliardi di dollari, per conto di clienti iraniani e altri soggetti potenzialmente soggetti a sanzioni economiche negli Stati Uniti”.

Intanto, come riportato dal Financial Times venerdì 16 dicembre, il Comitato di Sicurezza Finanziaria del Tesoro italiano starebbe esaminando se il finanziamento di un investimento da 10,2 miliardi di euro nel gruppo russo del petrolio Rosneft è in regola con le sanzioni contro la Russia. La società anglo-svizzera Glencore e il fondo sovrano del Qatar (QIA) stanno infatti acquisendo il 19,5% di Rosneft, colosso petrolifero pubblico di Mosca nelle mani del fedelissimo di Putin Igor Sechin e Intesa Sanpaolo sarebbe pronta a fornire buona parte del credito di 7,4 miliardi di euro di cui avrebbero bisogno gli acquirenti.

L’accordo tra Rosneft e Glencore/QIA è il più importante investimento estero in Russia dall’inizio della crisi ucraina nonostante le sanzioni. Un’iniezione di denaro e fiducia importantissima per Putin. L’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Carlo Messina ha spiegato alla stampa che «la banca è un consulente dell’entità che controlla Rosneft (Rosneftgaz, la holding del governo russo che detiene il 69,50% delle azioni, ndr), che non è soggetto a sanzioni (mentre Rosneft lo è, ndr)». Al momento non è ancora possibile capire come sarà strutturato il credito di Intesa Sanpaolo e non sono noti progetti da parte della banca per garantire un finanziamento in pool con altre banche. Appare infatti molto improbabile che Intesa finanzi da sola il deal, esponendo fino al 7,6% del proprio portafoglio crediti corporate (attualmente pari a 97,58 miliardi di euro) con una sola operazione.

Nel pomeriggio di lunedì (19 dicembre) è arrivata una precisazione dalla banca: «L’eventuale partecipazione da parte di Intesa Sanpaolo all’operazione di finanziamento per l’acquisto del 19,5% di Rosneft è tuttora in fase di valutazione» e, «a nostra conoscenza, tale operazione non è allo stato oggetto di alcuna istruttoria da parte delle competenti autorità italiane e europee», ha affermato un portavoce di Intesa. La possibile partecipazione all’operazione è «in primo luogo condizionata al supporto di iniziative che abbiano come prerequisito il totale rispetto del sistema di sanzioni adottato dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti nei confronti di entità della Federazione Russa», continua Intesa.

Quindi la Russia festeggia la privatizzazione ma non è ancora chiaro chi la finanzierà. Anche se la stessa Glencore, in un comunicato datato 10 dicembre, aveva dichiarato che i 7,4 miliardi di euro li avrebbe messi “principalmente” Intesa Sanpaolo, in cooperazione con non meglio definite banche russe.

Insomma, il mistero si infittisce. E c’è chi, come il noto blogger americano a Mosca John Helmer, sospetta che l’intera privatizzazione di Rosneft possa essere stata montata ad arte per permettere a Putin di dichiarare che entreranno 10,5 miliardi di euro nelle casse pubbliche. In realtà, spiega Helmer, è possibile che alla fine la vera proprietà del 19,5% venduto a Glencore e al Qatar rimanga nelle mani dello Stato russo.

Nelle prossime settimane si potrebbe sapere qualcosa in più su tutta la vicenda. Nel frattempo, però, la domanda rimane: perché Intesa Sanpaolo si è avventurata in un affare così scivoloso?

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