Secondo gli inquirenti il superlatitante aveva anche risolto alcune controversie tra clan interessati agli stessi appalti. In cella il figlio di uno dei condannati per la strage di Capaci. Tra gli indagati anche un giornalista "anti-mafia"
Undici persone sono state arrestate dalla polizia di Trapani in un’operazione della Direzione distrettuale antimafia di Palermo: sono ritenuti fiancheggiatori del boss di Cosa Nostra, latitante, Matteo Messina Denaro. Nell’operazione sono state sequestrate anche tre imprese controllate dalla mafia attraverso le quali Messina Denaro, secondo le indagini, era in grado di condizionare gli appalti della zona del Trapanese. Nell’operazione sono stati impegnati dall’alba una settantina di uomini della polizia di Trapani, Palermo, Mazara del Vallo e Castelvetrano. L’indagine, spiegano gli inquirenti, confermano i saldi contatti tra il clan mafioso di Mazara del Vallo, retto da Vito Gondola, e quello di Castelvetrano, grazie ai quali venivano spartiti gli appalti proprio sotto le direttive del superlatitante. A lui Gondola si sarebbe rivolto per dirimere alcune controversie.
Tra gli arrestati c’è anche il figlio del boss mafioso Mariano Agate. Epifanio Agate gestiva due società che lavoravano nel settore del pesce. Il padre, Mariano, morto nel 2013, era stato condannato all’ergastolo per la strage di Capaci. Nel 1985 era stato condannato all’ergastolo per sette omicidi, tra cui quelli del giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto e del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari. Per quest’ultimo omicidio fu assolto in Cassazione nel 1993. Agate era considerato uno degli uomini di riferimento di Totò Riina. Arrestato nel 1990, nel 2004, nonostante si trovasse già in regime di carcere duro, Mariano Agate era stato coinvolto in un’indagine per aver fatto arrivare ordini al figlio Epifanio.
Le imprese sequestrate erano direttamente dalle famiglie mafiose del Trapanese attraverso alcuni prestanome. Mediante queste imprese Cosa Nostra si sarebbe infiltrata, ad esempio, nei lavori per la realizzazione del parco eolico di Mazara del Vallo e nei lavori di ristrutturazione dell’ospedale. Tra i prestanome, secondo la polizia, c’è anche un giornalista, Filippo Siragusa, collaboratore del Giornale di Sicilia, che è accusato di intestazione fittizia di beni: non è stato arrestato, ma è stato sottoposto all’obbligo di dimora. Sul suo profilo Facebook il giornalista tiene la fotografia con il pm antimafia Nino Di Matteo e un carabiniere del Gis con il mephisto scattata nel corso di un incontro pubblico che aveva moderato. Proprio di recente, Siragusa aveva scritto dell’operazione antimafia condotta dai carabinieri che avevano portato in carcere diversi esponenti dei Cosa nostra. Organizzava spesso convegni sull’antimafia con esponenti del mondo delle istituzioni.