"L’idea è di concentrare i servizi per avere più risultati", ha spiegato il primo cittadino per giustificare lo spostamento dei clochard curati dalle mense gestite dai frati proprio nella zona nobile della città. Protesta della Chiesa: "Attenzione a costruire dei ghetti, non usiamo la politica per nascondere"
Il sindaco Luigi Brugnaro non poteva scegliere momento meno opportuno per lanciare la sua crociata contro la povertà, o meglio contro la povertà visibile nel centro di Mestre, la città veneziana di terraferma. A pochi giorni dal Natale, con le strade abbellite dalle luminarie e con le vetrine dei negozi piene di merci che fanno stridere ancor di più i contrasti sociali, ha lanciato la proposta di realizzare una “cittadella della povertà”. Ha usato proprio questa espressione. Come esiste, a piazzale Roma, la “cittadella della giustizia”, ovvero il Tribunale lagunare, come a Venezia esiste da pochi mesi il “palazzo del lusso” a due passi di Rialto, allo stesso modo Brugnaro vuole localizzare, in un punto per ora imprecisato della periferia, una struttura dove possano essere dirottati barboni e clochard, poveracci italiani e immigrati in cerca di aiuto.
Il primo cittadino aveva cominciato la scorsa settimana dichiarando che è venuto il momento di spostare le mense dei poveri che ogni giorno sfamano a Mestre centinaia di persone. Via dal centro, dalla passeggiata pedonale di piazza Barche o piazza Ferretto, perché il via vai di disperati crea problemi di decoro e degrado urbano. A Mestre ci sono due mense, Ca’ Letizia in via Querini e una struttura gestita dai frati in via Cappuccina. Siccome entrambe sono della diocesi, il patriarca Francesco Moraglia non ha gradito l’entrata a gamba tesa in un campo, quello della carità, in cui la chiesa veneziana è impegnata da sempre. Così ha preso spunto da un incontro pubblico per esprimere il suo dissenso. “Una città non può emarginare realtà che appartengono al vivere sociale. Se ci sono problemi che richiedono di organizzare meglio le mense, ci impegneremo perché questo avvenga, ma portare tutto in un luogo deputato alla carità, quasi come se ci fossero barriere divisive all’interno della comunità civica e sociale, questo no”. Parole severe contro gli steccati e l’illusione di risolvere i problemi buttando la polvere sotto il tappeto.
Moraglia ha aggiunto: “Immagino che l’iniziativa abbia buone intenzioni, eppure spostare le mense non è solo nascondere la povertà, ma è creare una disparità tra una società che crede di avere eliminato la sofferenza e una realtà che, per i suoi bisogni primari, vive al margine della società e accede alla società vedendola come un mondo proibito”. Poi ha concluso, escludendo l’eventualità di far traslocare le mense. “Se c’è da mettere a posto alcune organizzazioni dobbiamo farlo, perché dobbiamo evitare difficoltà anche a chi vive nel quotidiano, ma dobbiamo anche prendere atto che nella società ci sono ricchezza, povertà, bambini, nonni, adulti, sani e malati. E bisogna cercare, nel rispetto, di offrire servizi migliori a tutti rimanendo attenti all’uomo concreto, alle sue stagioni e sofferenze”.
La proposta di Brugnaro nasce dal fatto che i residenti della zona dove si trovano le mense si lamentano. Sostengono che è difficile la convivenza con i frequentatori, non solo stranieri, ma anche italiani. Da apripista aveva fatto l’assessore alla Coesione sociale, Simone Venturini, un paio di mesi fa. Poi il primo cittadino ha dato l’annuncio in modo ufficiale. Ieri, dopo le parole del Patriarca, Brugnaro è tornato sull’argomento: “Sto pensando a una cittadella della povertà. L’idea è di concentrare i servizi per avere più risultati”. E avrebbe anche individuato l’area, per ora top secret. Lapidario il vicario episcopale don Dino Pistolato: “Bisogna fare attenzione a costruire dei ghetti, non usiamo la politica per nascondere. Chi va nelle mense sono persone che si muovono, che senso ha costruire una città per loro? In tutte le grandi città, da New York a Parigi, i poveri stanno vicino a dove c’è la ricchezza”.