A dieci anni dalla morte di Piergiorgio Welby, molto è cambiato.
Non le leggi italiane, che condannano al carcere l’omicida del consenziente, senza fare eccezione per i malati terminali che vogliono interrompere la loro sofferenza. Ma il Paese non è lo stesso. Attorno a Welby, una vicenda personale si trasformò in un’occasione per l’opinione pubblica di prendere coscienza di se stessa, di come il buon senso fatto di rispetto e compassione al capezzale di una persona amata – quando ci si preoccupa innanzitutto che quella persona possa soffrire il meno possibile – non vada relegato a fatto clandestino e nascosto, ma possa e debba essere affrontato senza paura, alla luce del sole.
Dieci anni fa si trovò un solo medico in Italia ad assumersi la responsabilità di rischiare il carcere o anche solo il posto di lavoro: Mario Riccio. Poche settimane fa, il Tribunale di Cagliari ha ordinato alla Asl di fare per Walter Piludu ciò che il Tribunale di Roma negò a Piergiorgio Welby.
In dieci anni, molto è cambiato: opinione pubblica, giurisprudenza, consapevolezza della classe medica. L’impotenza della politica, quella ancora no. Ma la nonviolenza impone di non contemplare il peggio, ma operare per il meglio. C’è la nostra legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia. C’è una proposta di legge per il testamento biologico approvata in Commissione affari sociali e che potrebbe fare in tempo a diventare legge.
Piergiorgio era ostinato: cerchiamo di esserlo anche noi.