Occhi puntati su via Massimi, zona Balduina, proprio vicino via Mario Fani. Lì c’è una elegante palazzina, nel ’78 proprietà dello Ior, la Banca vaticana, dove gli investigatori della Commissione Moro hanno individuato un covo delle Br e dove assai probabilmente fu organizzata la prigione di Moro. E’ su quest’ultima ipotesi che si allungano le ricerche. Le novità più ‘pesanti’, da quel che si apprende, non sono state pubblicate nella II Relazione sull’attività della Commissione d’inchiesta: tutta roba che resta secretata per tutelare il lavoro istruttorio ma che è già sul tavolo della Procura di Roma.

I punti di partenza delle indagini sono stati tre: una nota della Guardia di Finanza che nell’immediatezza dei fatti parlava di una sede ‘extraterritoriale’, vicina al luogo dell’agguato, come possibile punto di primo riparo; alcuni accertamenti compiuti a suo tempo dalla polizia anche in seguito alla pubblicazione di un noto articolo di Pietro Di Donato pubblicato sul numero di dicembre 1978 della rivista statunitense Penthouse, nel quale venivano forniti precisi e inediti particolari; la ricostruzione delle modalità con cui sono state abbandonate le auto usate per l’agguato: i brigatisti le hanno parcheggiate tutte lì, in via Licinio Calvo, tornando su luogo del delitto, ma non dopo pochi minuti, come vuole la loro versione, ma in varie tappe nelle successive 48 ore.

L’ipotesi è che in realtà furono subito messe dentro un garage nel covo di via Licinio Calvo e gradualmente riportate e abbandonate in strada. Anche la 132 su cui venne fatto salire Moro fu lasciata lì qualche istante successivo alla fine dell’operazione (tra le 9,15 3 le 9,23 per l’esattezza). La ricostruzione contrattata della verità tra Br e una parte della Dc (Cossiga) non regge: gli investigatori della Commissione sono andati ad ascoltare uno ad uno tutti gli ex abitanti della distinta palazzina scoprendo che alcuni personaggi legati agli ambienti dell’eversione frequentavano quel luogo, anche durante i 55 giorni del sequestro. Tra le accertate e significative presenze: una persona straniera, un esponente dell’Autonomia operaia romana e, dopo la fine del sequestro Moro, un militante regolare delle Brigate rosse. Tre persone ‘insediate’ in una realtà tipicamente “borghese”, dove era alta la presenza di società estere (pare con interessanti attività) e di prelati. Lo studio della zona, e del tratto di strada percorsa per arrivare nel garage della palazzina, permette anche di spiegare uno dei tanti dettagli rimasti da allora in sospeso: cioè le infiorescenze ritrovate sulla Fiat 132 sulla quale era stato fatto salite l’ostaggio. La novità è dunque importante.

Il presidente Fioroni promette di arrivare a stabilire un punto fermo con le indagini in corso che si protrarranno fino alla fine della legislatura – dunque potrebbero anche avere vita assai breve. Di grande interesse anche il filone che ricostruisce, in modo solido, l’esistenza di una trattativa aperta grazie all’Olp di Yasser Arafat, con l’intermediazione del famoso colonnello Giovannone, giunto a Roma intorno al 13 aprile, dato fino ad oggi non noto: l’esito sembrava felice, Francesco Cossiga, ministro dell’Interno ne era al corrente. Trattativa alla quale sembra partecipare anche lo stesso prigioniero – Leonardo Sciascia lo scrisse già nell’ottobre ‘78, aveva qualificate fonti o una sua suggestione? Moro, infatti, proprio in quei giorni scrive due lettere nelle quali si sofferma sullo scambio di prigionieri e sollecita l’attivazione di Giovannone. Siamo arrivati ai primi di maggio: ma qualcuno fa saltare il tavolo e chiude ogni possibilità di restituire Moro vivo.

Tanti i filoni aperti: il doppio livello dell’arresto di Morucci e Faranda – il ritrovamento di due diversi verbali della perquisizione dell’appartamento di viale Giulio Cesare dimostra che si consegnarono quel 29 maggio del 1979, giorno in cui è stata avviata la collaborazione con alcuni esponenti politici per concordare una verità ‘sostenibile’; la conservazione da parte della ’ndrangheta di un’arma usata in via Fani – sono in corso attività di comparazione balistica sui reperti di via Fani e di via Caetani, promosse dalla Procura di Roma, nell’ambito del coordinamento tra la Commissione, la Procura della Repubblica di Roma e quella di Reggio Calabria; il ferimento di una o più persone del commando, mai ammesso dai brigatisti.

Serrato l’impegno, in particolare del senatore Federico Fornaro, nelle ricerche su Hyperion, la scuola di lingua o “camera di compensazione tra i servizi segreti più importanti della Guerra fredda”, secondo quanto ha riferito l’ex capo di Glazio Inzerilli ad Alberto Franceschini (e da quest’ultimo riferito in audizione lo scorso novembre). Si devono a Carlo Mastelloni gli approfondimenti del passato che la Commissione sta ampliando: in Italia l’attività di Hyperion è riconducibile al gruppo del Super Clan (nati da una scissione dalle Br) e a un personaggio di grande calibro, Corrado Simioni. Il gruppo poteva contare sulla disponibilità di “centri studi” e appartamenti: a Milano, Genova Nervi, Venezia e di una attività commerciale – di cui si ha un riscontro certo negli anni 1977-1979 – nell’ambito della Dip (Diffusione Italiana Periodici), promozione e vendita delle riviste “Ordine Pubblico“, “Nuova Polizia – Riforma dello stato“, “Notiziario Finanze e Tesoro” e altre. “Chi ancora sostiene che sul caso Moro si sa tutto – conclude il componente della Commissione Gero Grassi – dice una plateale bugia, coprendo sue o altrui responsabilità”.

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